non c'è niente da ridere con la new wave, ma in genere non c'è niente da ridere con la musica

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O almeno credevo di no, e invece sì. Non so se conoscete Fred Armisen, il comico statunitense famoso per far parte del programma “Saturday Night Live”. Be’, io non lo conosco o, anzi, non lo conoscevo. Giorni fa però mi sono imbattuto tra i vari post e ripost che mi capitano su Facebook in una sua divertente quanto geniale parodia dei Talking Heads che vi metto qui:

Il senso di tutto questo è che in USA c’è un comico che è talmente bravo anche come cantante e musicista che ha ideato e messo in pratica una gag in cui imita David Byrne e compagnia bella, piena di riferimenti all’universo dei Talking Heads comprese le numerose citazioni di Stop Making Sense. La prima domanda che immediatamente mi sono posto è: chi è in grado di cogliere la finezza dell’operazione e riderci su? Si tratta di una cosa molto indie, voglio dire, e tenete conto che gli indie ridono pochissimo. L’offerta della comicità tra virgolette statunitense è talmente vasta che c’è spazio anche per scenette in cui si prende in giro un gruppo di trent’anni fa che magari i giovani di oggi neppure sanno chi sia. C’era già stato un precedente di dissacrazione dei Talking Heads, vi ricordate questa?

Noi ci ridiamo su, ma sappiate che in Italia cose simili le fa gente del calibro del Leone di Lernia o, al massimo, Elio e le Storie Tese. Ecco, da noi la comicità musicale – ammesso che esista ed è una cosa diversa dai comici che usano la musica nei loro sketch – sfocia nel demenziale demente (Leone di Lernia che, a proposito, esiste ancora?) o tutto sommato intelligente (EELST).

Invece, per arrivare al punto, in USA Fred Armisen – un po’ come forse era successo per i Blues Brothers – ha messo su un vero gruppo musicale, nel suo caso new wave con un nome altrettanto new wave (Text Pattern) con cui praticamente ha realizzato un vero e proprio long playing che potete trovare in streaming su Pitchfork. E, a dirla tutta, suona molto meglio di tanta roba di quella che si sente in giro oggi, ma forse perché non si capiscono le parole in inglese, o forse perché i Talking Heads sono inimitabili ma quando qualcuno li imita comunque il prodotto è superlativo, tanto loro ci piacciono.

memorie di un vecchio trombone

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Se pensate che suonare uno strumento non influisca in qualche modo sul fisico date un’occhiata alle guance gonfie di Dizzy Gillespie o provate a osservare di profilo uno che studia pianoforte. I batteristi poi devono stare molto attenti perché addirittura loro con il corpo ci lavorano e se ti svegli con il mal di schiena il giorno di un concerto davanti a centomila persone a San Siro non è bello, per non parlare dei violinisti e la cervicale o, in genere, il mal di testa che non ha preferenze di timbro quindi, se siete in tour e suonate tutte le sere, evitate di stonarvi ogni fine serata perché poi il giorno dopo sono guai. Occorre quindi indirizzare i propri figli con molta attenzione verso la musica e scegliere lo strumento – o assecondare la loro passione – con estrema oculatezza. Il destino cambia a seconda di quello che ti ritrovi tra le mani o in base alla tua attitudine, come per tutto il resto delle cose. Scegli lo scientifico e finisci in missione su Marte, scegli scienze umane e ti deprimi a scrivere testi per delle pubblicità che non si fila nessuno. Allo stesso modo impari a suonare il pianoforte per poi convivere con una spina dorsale ritorta, mentre con la chitarra ti si riempie il camerino di groupie. La voce, invece, è l’unico aspetto democratico di tutta questa storia. È un dono, ma può capitare a chiunque. Per esempio, secondo voi perché certa gente si sfoga sui blog anziché scalare le hit parade? Ecco, se fossi nato intonato (into-nato, bella questa) e con un bel timbro da fighi, magari baritonale come piace a me, probabilmente con le mie idee in fatto di composizione musicale, e magari anche con i miei testi anche se, onestamente, da questo punto di vista non sono mai stato un granché, le cose sarebbero andate diversamente. Mi capita di vedere qualche scorcio di X-Factor e quando succede vorrei essere lì a consigliare a chi si presenta di fare così o fare cosà, perché hai scelto un arrangiamento così inadeguato o perché hai deciso di portare un pezzo così veramente fuori luogo. Io invece se fossi stato intonato e con un bel timbro da fighi, e ai tempi i talent per fortuna mica c’erano, avrei intrapreso una carriera da one man band, con tutta la mia attrezzatura elettronica e un microfono e basta, senza il bisogno di circondarmi di gente che dopo un po’ si stufa e cambia gruppo. Magari in qualche dimensione parallela sono un cantautore affermatissimo, ora cinquantenne quindi in fase riflessiva sull’andropausa che avanza, ma con una carriera di tutto rispetto. Vado subito a controllare.

la risposta definitiva alla domanda è qui la festa è no

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Mi restano solo poco più di sette mesi per decidere i vip con cui farmi fotografare in occasione dei miei imminenti cinquant’anni. Intanto, se volete candidarvi, potete mettere il dito qui sotto, o più semplicemente prenotarvi con un commento inserendo i vostri dati e, soprattutto, il numero di carta di credito con la scadenza e il codice a tre cifre che trovate scritto dietro. Dylan Dog, per dire, per il suo anniversario, e per lui sono trenta ma per un fumetto probabilmente l’età vale quasi il doppio, ha scelto gente del calibro di Totti e Jovanotti, non so se vi è capitata sottomano la foto in rete. Lascio perdere Totti perché il calcio non è il mio campo, sinceramente non so giudicare quanto possa essere offensivo, nei confronti di uno che nel calcio ci crede e lo sostiene con anima e corpo – cosa per me del resto inconcepibile tanto quanto barrare la crocetta del si al prossimo referendum – esprimere una considerazione su un popolare giocatore come lui.

La foto in questione, che riporto fedelmente qui sotto, mi ha fatto riflettere invece su due aspetti e, tolto Totti, è facile immaginare quali siano. La mia collezione di Dylan Dog, dal numero 1 al non mi ricordo ma credo almeno al 150 o giù di lì, giace desueta in scatoloni di cartone in cantina, all’asciutto per evitare danni, e in attesa di miglior vita. Venderli? Provare a vedere se a mia figlia interessano, considerando che da un po’ manifesta una irrazionale inclinazione per la letteratura gotica? Chissà se a trent’anni dalla prima uscita l’indagatore dell’incubo è un personaggio ancora attuale, di certo lo è più dell’altro cinquantenne, che a dirla tutta ai tempi di “Gimme five” (soprattutto la versione reggae) ed “è qui la festa” mai avremmo pensato che un giorno qualcuno avrebbe potuto celebrare il mezzo secolo di un tale fenomeno culturale con evidenti difetti di pronuncia e per di più renziano, il che mi permette di chiudere il cerchio perché sarà la cinquantesima volta – a essere ottimisti – che si parla di ponte sullo stretto. Ma quest’anno abbiamo una possibilità in più per dire di no in un colpo solo a Renzi, alle sue grandi opere demagogiche, alla possibilità che un partito come quello dei grillisti con il solo 20% si trovi a governare con la maggioranza assoluta questo paese, a delle riforme scritte da una come la Boschi. E, magari, chissà, anche a Jovanotti.

jovanotti-su-instagram-jova50-ilcapitano-e-dylandog-tre-compleanni-in-uno

chiamate la polizia

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Ho trovato il modo di parlare, nello stesso post di:

– anziani che si ostinano a suonare e cantare le stesse cose di quando erano giovani
– cantanti che caratterizzano indelebilmente con il loro timbro il sound della band in cui ricoprono il ruolo di frontman
– cantanti che, con le band in cui ricoprono il ruolo di frontman, spezzano il cuore di miliardi di fan nel momento in cui abbandonano il gruppo causandone lo scioglimento
– popstar di fama mondiale in grado di sbaragliare il mercato a venti, tenta, quaranta, cinquanta, sessant’anni ecc. tanto è consistente il loro modo di fare musica che, appena si mettono in gioco, si vede la differenza
– cantanti che, una volta abbandonata la band in cui hanno ricoperto il ruolo di frontman causandone lo scioglimento spezzando il cuore di miliardi di fan, comunque fanno musica che, pur di qualità, nulla ha a che vedere con quello che facevano con il gruppo in cui militavano precedentemente e i fan che preferiscono di gran lunga la musica che facevano con il gruppo in cui militavano precedentemente non gli perdoneranno mai il fatto di aver abbandonato la band in cui hanno ricoperto il ruolo di frontman causandone lo scioglimento, sostenendo che dall’abbandono della band tali cantanti fanno musica di merda.

In una parola Sting, che ha pubblicato un nuovo singolo che potrebbe tranquillamente essere una versione duemila e rotti di una canzone di Zenyatta Mondatta, accelerandolo di un paio di bpm, mettendo quache coretto uuuh-ohh all’inizio, sostituendo quel cazzo di organetto nel ritornello con una Telecaster pulita come la suonava chi dico io. Dite di no?

tutto esaurito

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Le cose, si sa, finiscono e, tra queste, anche la disponibilità dei biglietti dei concerti. Oggi poi, in un momento in cui la musica è depotenziata e svalutata come non mai dall’assenza di materiali su cui fare un ricarico decente e da tutto quello che sappiamo aver combinato l’Internet ai nostri beniamini dei palcoscenici, la nostra presenza ai concerti è diventata un vero must have per gli equilibri universali. I biglietti costano un botto ma, malgrado ciò, dobbiamo presenziare tutti quanti ed è per questo che risulta fondamentale stare all’erta perché nel giro di qualche ora vanno a ruba e se ti interessa davvero qualcosa rischi di restare a bocca asciutta. E quanti si sentono più in diritto di altri di assistere alla performance live dell’artista che parla solo a noi nei dischi anche se ne vende, pardon, ne vengono scaricate milioni di copie? Certi nomi altisonanti poi si concedono una volta sola qui dalle nostre parti, solitamente a Milano o dintorni, quindi al momento dell’apertura dei botteghini online tempo di fare due conti con la carta di credito prepagata che già dei biglietti non c’è più traccia. Capita a me che ascolto roba tutto sommato non popolarissima, figuriamoci con le band o i cantanti del momento, ed è questo il consiglio che ho dato a mia figlia. Il dramma, per lei, o meglio la presa di coscienza di come vanno le cose e di come gira a 33 giri il mondo, si è già palesato due volte e nel giro di pochi mesi. Questa primavera l’obiettivo era acquistare i biglietti per il concerto di Melanie Martinez al Fabrique, e non chiedetemi chi sia perché giuro che prima che me ne parlasse lei non l’avevo mai sentita nominare. Qui la colpa è stata mia perché ne ho sottovalutato la popolarità tra i ragazzini e, a luglio, il sito di Ticketone dava già il severo quadratino rosso con tanto di dicitura irreversibile. Superato il trauma, e scongiurata una pessima figura di padre poco attento, la piccola (che ora piccola non è più) ha espresso un secondo desiderio qualche giorno fa, questa volta puntando più in alto addirittura con i 21 Pilots. Mi sono precipitato sul web ma, manco a dirlo, dei biglietti per il concerto al Forum di Assago del 7 novembre non è rimasto nulla se non qualche retaggio sui siti del pseudo-bagarinaggio digitale, con costi a dir poco proibitivi che in confronto i posti in tribuna per i One Direction te li tiravano dietro. Ma non c’è da stupirsi: i biglietti sono stati messi online il 12 maggio e sono pronto a scommettere che già il giorno dopo erano terminati. Peccato: i 21 pilots sono famosissimi, trasversali a diversi gusti e, per dire, non dispiacciono neppure a me. E ovviamente se vi crescono due biglietti fatemi sapere.

il 3D del momento

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Certo che se viene fuori che Bansky è davvero Robert Del Naja, aka 3D dei Massive Attack, siamo di fronte a un vero colpaccio. Se dovessi rispondere a una domanda a bruciapelo su chi sia, secondo me, il gruppo più completo della storia della musica, laddove per completo intendo un insieme di suoni e ritmi che mi soddisfano al 100% con una bella farcitura di elettronica intelligente, il tutto completato da un progetto con i contro-fiocchi e l’idea di una band senza frontman che invita cantanti a ricoprire il ruolo di voce solista – uno su tutti il mio beniamino Tunde Adebimpe dei Tv On The Radio – ecco credo se me lo chiedeste indicherei nei Massive Attack la risposta. Per cui, cari Massive Attack, sappiate che se il vostro 3D è davvero Bansky il jackpot nel mio cuore è assicurato.

chad smith se ci sei batti un colpo ma di rullante e sul quattro del ritornello di dark necessities 

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Anthony Kiedis, spero si scriva così, il cantante dei Red Hot Chili Peppers, è apparso in sogno a Rossano (un amico che malgrado il nome improponibile se suonassi ancora sarebbe tuttora il mio arrangiatore di fiducia) per dirgli: “Rossano, va e metti il colpo di rullante mancante, quello sul quarto beat di ogni battuta di Dark Necessities”. Potete immaginare la reazione di Rossano che è uno che ha una vera e propria venerazione per i Red Hot. Da ragazzo si metteva nudo con il calzino proprio lì come fanno loro e poi imitava quel matto di Flea sul palco con il basso in slap. Rossano si è svegliato e avete presente quel momento quando apri gli occhi e ripercorri tutto il tempo in cui sei stato addormentato e poi di colpo ti ricordi il sogno fatto? Ecco. Rossano ha esclamato solo nel suo letto: “Antony! Anthony lo vuole!” e si è precipitato sul suo Mac, ha aperto il suo programma preferito di sound design, ha importato la traccia di “Dark Necessities” e non ha avuto nessuna esitazione a scegliere il loop di batteria più adatto da inserire nel ritornello. Io e Rossano siamo solo due tra gli svariati milioni di ascoltatori dei Red Hot Chili Peppers che patiscono come la rogna il fatto che un pezzo bello come “Dark Necessities” abbia una lacuna così vistosa. Va bene lasciare un solo colpo di rullante sul due delle battute durante la strofa, una soluzione ritmica che ti dà quell’effetto di asimmetria volta però a preparare il climax che sfocia nel ritornello. Ma se poi nel ritornello il tempo così zoppicante continua né io né Rossano né gli svariati milioni se non miliardi di ascoltatori dei Red Hot Chili Peppers ci stiamo. Noi nei ritornelli vogliamo sentirci a nostro agio, sognare viaggi in macchina a tutta velocità lungo i rettilinei degli Stati Uniti, osservare l’orizzonte con la tranquillità di avere un tempo di batteria sotto il culo sufficientemente regolare e il fatto che Anthony Kiedis sia apparso in sogno a Rossano – e notate che Anthony Kiedis nemmeno è morto – è un segno che i Red Hot non erano d’accordo e qualcuno glielo ha imposto per biechi fini commerciali. Così voglio dire a Anthony Kiedis di stare tranquillo che ci pensa Rossano, e appena l’edit naturale di “Dark Necessities” con il colpo di rullante sul quattro di ogni battuta del ritornello sarà pronto lo pubblicheremo qui. Stay tuned, Anthony Kiedis.

la madre di tutte le cover band (che peraltro è sempre incinta)

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Non c’era nemmeno lui, l’organizzatore della kermesse, e nemmeno l’ombra di un direttore d’orchestra a guidare l’esecuzione con il caratteristico paio di bacchette magiche luminescenti. Il terzo capitolo della saga dei guinness dei primati delle dodici note conferma la genialità dell’ideatore dei fenomeni collettivi più trasgressivi e capelloni mai visti, capace di portare prima i Foo Fighters in concerto a Cesena e, dopo, a mettere insieme mille musicisti nella super-coverband più super e affollata della storia della musica. E ancora una volta si sono accesi i riflettori sulla nostra creatività imprenditoriale, in cui l’arte di essere fuori dagli schemi e il Made in Italy si confermano come la strada più efficace da seguire per far emergere noi italiani nel difficile mercato della notorietà di oggi.

La location è stata ancora una volta lo stadio di Cesena. La mattina del day after sono ancora visibili e inconfondibili i rimasugli delle vestigia dell’evento che ha raffreddato i milioni di convenuti. Rockin’ Zero, ovvero la band di musica elettronica meno numerosa al mondo ha – come si dice nel gergo dei giovani – dato il bianco facendo ballare a cassa dritta donne e uomini provenienti da tutta l’Italia isole comprese per una notte intera. Non c’era palco. Non c’erano strumenti. Non c’era di conseguenza nessuno a suonare, tantomeno qualcuno sul podio a svolgere le funzioni di clic in carne e ossa. Non si è visto nemmeno un dj, un fonico, un mixerista o un tecnico di palco. Rockin’ Zero, la band di musica elettronica meno numerosa al mondo, era infatti composta da zero persone, un record assoluto. Solo un pulsante con scritto “play” programmato affinché si auto-attivasse per dare il via alle danze, come un motore immobile e invisibile della follia collettiva, avviata la quale suoni e visioni hanno collaborato per un’esperienza di ascolto senza precedenti.

Rockin’ Zero, la band di musica elettronica meno numerosa al mondo, ha così superato ogni pronostico. Solo spazio gremito dal pubblico e un impianto di amplificazione da record, frutto di mesi di prove e di difficoltà organizzative di ben altro livello rispetto a un Rockin’ 1000 qualsiasi. Fino all’ultimo sembrava che la band di musica elettronica meno numerosa al mondo dovesse infatti per forza contare su due o almeno su un solo componente, fino a quando la tecnologia, ancora una volta, è intervenuta a supporto dell’arte. Ci chiediamo a questo punto dove si possa spingere l’ingegno umano nel campo della musica e se, tutto questo, potrà finalmente risollevare le sorti e dare qualche speranza di sopravvivenza a un’industria – quella discografica – destinata irrimediabilmente a scomparire.

la morte e l'oblio (parte seconda, feat. Lucio Battisti)

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Se c’era una cosa bella di questa parte di storia era proprio il fatto che le canzoni di Battisti non si sentissero granché in giro grazie al veto della vedova del sopravvalutatissimo interprete del pop di massa nostrano. Dalla morte di Battisti in poi c’è stata questa originale operazione di damnatio memoriae pressoché impossibile nei confronti dei brani che lo hanno consacrato, probabilmente, a cantante italiano più conosciuto di tutti i tempi. Pensate all’elementare giro armonico della “Canzone del sole” e a quante volte è toccato a voi di cantarla in spiaggia – agli scout – al karaoke – al pianobar e a noi di suonarla in spiaggia – agli scout – al karaoke – al pianobar.

Nonostante ciò, se siete a conoscenza di quello che è accaduto da allora, la vedova Battisti dall’alto della società che detiene il copyright delle produzioni di Lucio si è sempre opposta allo sfruttamento del suo capitale, già di per sé una miniera d’oro, per fini commerciali negli spot e come colonna sonora cinematografica, impedendo persino iniziative ed eventi commemorativi come ci sono stati per quell’altro Lucio, che a me piace molto di più e anzi, pur imparagonabili, non c’è proprio paragone, per non parlare dell’industria del ricordo che ha dato i suoi frutti dalla morte di De André in poi. Ora, come avrete letto, il gran Mogol ha vinto la causa – e che vittoria – così da oggi siamo tutti esposti al rischio della diffusione incontrollata del suo repertorio ed è un peccato perché, a dirla tutta, in questi anni di oblio tutto sommato non ci è andata così male.

e comunque andiamo a comandare assomiglia di brutto a ride on time dei black box, non vi pare?

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Sentite qui:

e sentite il riff di piano qui: