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Ieri pomeriggio, nel corso delle due ore settimanali in cui insegno inglese in seconda C, è venuta fuori la questione Babbo Natale. Hanno sette anni, ci credono tutti e non c’è alcun bisogno di fornire prove documentate sul fatto che esista o meno. Nessuno di loro l’ha mai visto, qualcuno dice di sì ma mente sapendo di mentire, qualcun altro sostiene di aver intravisto una slitta parcheggiata sotto casa. Arianna, una delle più sveglie, ha addirittura chiesto a mamma e papà di visionare le immagini delle videocamere dell’impianto di antifurto domestico per coglierlo sul fatto ma i genitori – davvero geniali – le hanno dimostrato – non so come – che le riprese si sono interrotte proprio sul più bello, probabilmente a causa di qualche superpotere che gli consente di neutralizzare i sistemi di sorveglianza. Ho pensato a tutto questo potenziale sprecato, ma Babbo Natale rappresenta l’onestà per antonomasia e non ci possiamo fare nulla.

Una trovata che comunque ho avallato con convinzione. Anzi, il momento mi è sembrato propizio per verificare se tutti loro avessero sottoscritto con Babbo Natale l’abbonamento Prime, e, superato il primo momento di stupore, non è stato difficile convincerli sulla veridicità di quanto sostenessi. In comune con Amazon c’è anche il modo in cui sono organizzate le consegne. La slitta non può certo contenere i pacchi regalo per tutto il mondo, per questo Babbo Natale ottimizza i percorsi secondo le zone di residenza dei destinatari. Non solo. Babbo Natale Prime prevede il plus di un refill di dolci nei calzettoni vuoti lasciati appesi sul camino, proprio come quelli presenti nell’illustrazione dell’attività natalizia proposta dal nostro libro di testo di inglese che tutti, giustamente, hanno ricondotto alla festa della Befana (sanno benissimo comunque che le due multinazionali dell’e-commerce preferito dai bambini non sono affatto in concorrenza).

E se pensate che la mia giornata è proseguita poi con l’ultimo collegio docenti dell’anno, quello prenatalizio, potrete riconoscere quanto, quello del docente, sia un mestiere strano. Anche sottopagato, ma fondamentalmente strano. La maggior parte delle professioni si esercita fianco a fianco con i colleghi. Poi ci sono i lavori (pochi) che si fanno in solitudine (così sui due piedi mi vengono in mente appunto i corrieri di Amazon – quelli in carne sudamericana e ossa – e chi si occupa di pastorizia). I docenti sono nel mezzo, perché siamo tanti dipendenti della stessa organizzazione ma manca completamente lo spirito di squadra, non so se sia il termine più adatto. Intendo quella sorta di intesa che ti spinge a fermarti a fine giornata lavorativa a prendere un aperitivo insieme o al limite quell’aziendalismo sincero o interessato che ti convince di fare parte di una famiglia, che poi in realtà la famiglia è quella dei proprietari dell’azienda che diventano ricchi grazie al tuo aziendalismo sincero o interessato.

Durante il collegio docenti prenatalizio non ci sono regali di natale ai dipendenti e nemmeno il catering con il rinfresco. I dirigenti più illuminati danno alle collaboratrici i soldi per andare a comprare qualche panettone o pandoro, due bocce di prosecco e la Pepsi per gli astemi, da consumare durante il brindisi al termine della riunione. Ma in realtà, avallato anche l’ultimo punto all’ordine del giorno, tutti si affrettano a tornare dalle rispettive famiglie. Anche i colleghi più giovani, quelli che nelle aziende degli altri settori considerano il posto di lavoro anche un ambiente di caccia, sbocconcellano una fetta di dolce parlando dell’ultima nota che hanno dato e poi se ne vanno quasi senza salutare. La triangolazione con il resto della popolazione scolastica, in primis gli alunni, frena un po’ l’impeto alla socializzazione sul lavoro quando non si parla di lavoro – per non dire che è un deterrente all’accoppiamento – ed è un peccato. Questa granularità di rapporti umani – passatemi il termine – penalizza la scuola tanto quanto l’assenza di reti di rappresentanza e di marketing di sé fatto con criterio, a partire dalla quasi totale latitanza di insegnanti su LinkedIn. Sarebbe bello un Tinder da intellettuali e pedagogisti esclusivo per i docenti, ma anche lì occorrerebbe un sistema di filtro per evitare ogni tipo di ingerenza dei genitori, nel bene o nel male.

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