il gioco si fa duro

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Se prendete la metro a Milano in questi giorni noterete – io l’ho vista in tutte le stazioni in cui sono passato, probabilmente a causa della concomitanza con le festività e la conseguente corsa ai regali – la gigantesca pubblicità di una poltrona da gaming. Mi sono chiesto il senso dell’esistenza di un arredo così impattante sul design di interni di qualsiasi appartamento – oggettivamente kitsch – dedicato a un passatempo da ragazzini delle medie, non che i ragazzini delle medie non possano ricoprire un ruolo così centrale in una famiglia da non pretendere una sedia tutta per loro, pensata per un’attività di questo tipo. Io allora potrei voler avere una chaise longue da blog, per dire, un hobby altrettanto adolescenziale. Una poltrona che non lascerei a nessuno, tantomeno alla mia gatta, considerando che ha dei modi di ricordarmi di pulire la lettiera che, tra gli esseri umani, solo la ndrangheta o al limite i Blues Brothers.

Cari genitori, avete capito: questo post è dedicato a voi. Non è proprio il caso di spendere e spandere per un arredo così ingombrante e che per giunta i vostri figli, una volta cresciuti, non utilizzeranno più. I ragazzini smettono presto con le console e i videogiochi, non appena scoprono i passatempi da adulti, e non mi riferisco solo al sesso o alle canne. Vi ritroverete a breve con una sedia orrenda – impresentabile in qualunque stanza della vostra casa – che metterete su Vinted il natale prossimo. Tanto di cappello, comunque, all’azienda che commercializza articoli così di nicchia – il mercato dei videogame non è per nulla rilevante, da quanto mi risulta – e che si è potuta permettere una copertura pubblicitaria di così alto profilo. Per farvi capire il livello, i cartelloni si alternavano ad altri pezzi grossi del marketing da metropolitana del calibro dell’Università Cattolica che, in quanto a opulenza, non è seconda a nessuno.

Peraltro, l’invenzione di una poltrona per giocare ai videogiochi, un prodotto che concentra in sé l’idea di un modo per buttare via il proprio tempo malsano e per deprivati, unita alla ricerca della comodità estrema attraverso posture deleterie per la salute, è in palese contraddizione con l’attitudine al movimento e pratica sportiva che contraddistingue i nostri ragazzi. Non si spiegherebbe altrimenti la diffusione, tra le nuove generazioni, dell’abbigliamento tecnico anche fuori contesto. Se vi guardate intorno, la maggior parte dei giovani – e non solo i maranza – indossa tute da allenamento nelle diverse varianti per le più comuni situazioni (appuntamento galante, giorno di scuola, pomeriggio in piazza del Duomo e notte di capodanno) abbinate a scarpe in gomma dai colori sempre più vistosi. L’impressione è che i nostri ragazzi si vestano da educazione motoria per farsi trovare pronti ad ogni sfida improvvisa: una corsa, un salto, un gesto atletico, un combattimento, tutte prove impossibili da affrontare – e superare – con addosso un pantalone di velluto, un pullover o un paio di Clarks. Com’è possibile che il marketing abbia frainteso con proposte così fuori luogo gli ideali di una generazione? Come riuscite a immaginare i ragazzi di oggi stravaccati tutto il giorno davanti a uno schermo a millanta pollici, a sparare a nemici digitali o a far rincorrere la palla a calciatori antropomorfi pilotati da joystick? In ogni caso, la nostra società non corre nessun rischio di adolescentizzazione. Avete mai conosciuto un adulto che preferisca Candy Crush alla lettura di un buon libro?

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