Il valore degli immobili fa un bel balzo in avanti quando la fortuna, acquisite le sembianze di una fermata della metro, si scomoda fino alla periferia della terra e va a baciare sulla bocca i loro proprietari. Comasina è il capolinea della linea gialla, la M3, e sorge in un territorio che, una volta, era tutta vallanzasca. Le cose, da allora, sono cambiate così tanto che ora hanno persino allestito un’installazione pop up con il nome del quartiere nel bel mezzo della rotonda di fronte alla fermata, con un bel font Hollywood che trasmette il senso del sogno che si vive abitando qui. Per farvi capire, in Comasina hanno addirittura ambientato un episodio di “Casa a prima vista” e, potrei sbagliarmi, ma l’appartamento in una delle vie parallele alla strada principale, quella che poi si allontana verso nord, è risultato quello vincente.
Casa mia dista dal capolinea della gialla due km tondi tondi, e per me risulta il mezzo più comodo quando devo andare in centro. La maggior parte delle volte mi armo di calma e auricolari per la musica e ci vado addirittura a piedi. Prendere l’auto è fuori discussione: tutti i parcheggi nei pressi della fermata sono a pagamento, il che rende la scelta di non raggiungere Milano con mezzi propri per nulla conveniente. C’è un autobus che collega Comasina con il paese dove vivo ma passa ogni mezz’ora e, soprattutto nelle ore di punta, ci impiega troppo tempo. Farsela a piedi poi soddisfa una delle mie più audaci perversioni che è quella di camminare in luoghi di periferia pensati solo per il transito di automezzi. Ma non sono pochi gli scorci a ridosso delle metropoli che invece sembra che nessuno abbia progettato. Sono sorti per caso, come risulta tra grandi interventi prossimi tra di loro ma non perfettamente combacianti, o anche saltati fuori per sottrazione, non so se rendo l’idea.
A poche centinaia di metri dal capolinea della gialla sorge un locale a dir poco equivoco. Si chiama “Sauna Milano Relax” e, dall’esterno, si riconosce per certe gigantografie all’ingresso che non lasciano spazio all’immaginazione sul tipo di trattamenti offerti. Di fronte c’è un bar sudamericano da cui risuona cumbia a tutte le ore, e, poco dopo, un ristorante che cucina un kebab decisamente di qualità ma che è penalizzato da un odore di cibo insostenibile. Al massimo va bene per un take away, una sosta veloce che consenta di salvare i vestiti, ma soprattutto ci si chiede chi mai verrebbe a mangiare in un posto così fuori mano.
Il punto è che la fermata della metro Comasina è frequentatissima a qualunque ora, lungo l’intero orario di servizio della metro che, fosse per me, dovrebbe funzionare tutta la notte, se considerate il via vai di gente che si sposta tra centro e periferia. Intorno alle rampe di scale che scendono ai treni c’è un’umanità multietnica che non ha confronti. La mattina presto, la stazione è presa d’assalto da furgoncini – tutti parcheggiati in seconda fila – che, in stile capolarato da campi di pomodori del sud, raccolgono le maestranze dell’edilizia da smistare verso i numerosissimi cantieri dell’hinterland che si sono centuplicati grazie al bonus negli ultimi due anni. Non mancano i venditori ambulanti di merce contraffatta e un dignitosissimo fiorista cingalese che allestisce, ogni giorno, la sua bancarella super-attrezzata. Ogni tanto risuona l’eco di qualche accenno di rissa, con dialetti meridionali che si mischiano con rabbia a idiomi arabi e africani, e a farne le spese spesso sono le bici che qualcuno ancora si ostina a legare ai pali a ridosso del bar tabacchi a gestione cinese, crocevia di tutta la fauna che gravita in quel luogo di transito.
Alla domenica, verso l’ora di pranzo, i treni della metropolitana però sfornano centinaia di persone di tutte le nazionalità che hanno accettato un invito da parenti e amici che vivono da queste parti. Si possono incontrare bambine orientali vestite a festa, coppie multietniche che procedono tenendosi per mano e reggendo con l’altra un vassoio di qualche profumatissima prelibatezza d’oltreoceano, praticanti di improbabili derivazioni di chiese dai nomi esotici vestiti di tutto punto che amano farsi trovare eleganti all’appuntamento con il rito, persino qualche fattone che rientra a casa dopo un rave party tenutosi chissà dove.
Mi reco in Comasina quasi ogni giorno per accompagnare in auto mia figlia a prendere la metro per andare a scuola, fino a un paio di anni fa, e ora a lezione all’università. Osserviamo insieme, in coda tra tutti gli altri che raggiungono la fermata per lo stesso motivo, quella sintesi di mondo che si raduna lì senza coglierne la vera essenza. Aspettiamo il momento più adatto, poi lei scende, mi saluta, quindi chiude la portiera con una forza sovradimensionata per la prestazione che quel gesto comporterebbe. Ogni volta cerco di segnarmi in qualche modo di parlarle per chiederle di usare un po’ più di gentilezza nei confronti della macchina di famiglia, ma poi finisce che mi scordo sempre. Proseguo fino alla rotonda con la scritta Comasina, la percorro per intero e mi dirigo verso casa, riflettendo su considerazioni come queste.