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Stamattina riflettevo sul fatto che pochi settori di per sé strategici come la scuola sono scollegati dal resto dell’economia. Non si tratta certo di una conclusione a cui sono giunto così all’improvviso, perché lo penso da sempre e so che lo sapete bene anche voi. Ho vissuto però, nel giro di un paio di giorni, due episodi apparentemente differenti tra di loro che confermano tutto ciò, fermo restando che alla base c’è una questione di stato d’animo o umore, chiamatelo come volete. Voglio dire che ci accorgiamo di certe cose solo quando abbiamo una predisposizione emotiva adatta a percepirne la portata. Sul primo episodio c’è poco da dire. Ho un bimbo quest’anno nella mia prima a cui avrebbe fatto bene ancora un anno alla scuola dell’infanzia. Lunedì pomeriggio, mancava una ventina di minuti al termine delle lezioni, per farla breve se l’è fatta addosso – la cacca – ma in un modo a dir poco rocambolesco e con un impatto devastante per il bagno e su di sé, non vi sto a raccontare i dettagli ma non avete idea di come si è conciato. Il secondo è accaduto invece poco fa: ogni tanto faccio un giro su LinkedIn e, probabilmente a causa dei (o grazie ai) miei trascorsi professionali, ma di colleghi non c’è manco l’ombra. Poi mettici l’età anagrafica, intendo la mia, e il fatto che a scuola non funziona mai nulla: la dimensione organizzativa, il flusso della comunicazione, i proiettori delle LIM, il recruiting del personale, le linee guida del Ministero e dell’Ufficio Scolastico, la formattazione del testo nelle email dei colleghi. Ecco, se c’è un campionato mondiale dei settori industriali e professionali, chi lavora come me nella scuola milita in prima divisione, o in promozione per parlare in linguaggio calcistico, o comunque la serie più dilettantistica che c’è.

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