Si gioca così: si accende il pc, si va su Facebook e si commenta il primo post che capita in home con l’ultima cosa che si è detta prima di aprire il computer. A me è toccato un articolo di pseudoscienza dedicato a quel posto del Minnesota in cui si sta testando il sistema di accumulo di tutto il caldo estivo in eccesso che poi viene rilasciato durante i mesi invernali e, viceversa, la possibilità di immagazzinare le temperature rigide dei mesi freddi da rilasciare per mitigare le giornate più torride della bella stagione. Una tecnologia ricordiamo a impatto meno di zero perché non consuma nessun tipo di energia rinnovabile o fossile che però corre il rischio di normalizzare in eccesso il clima, generando lunghe primavere di dodici mesi con giorni tutti uguali che, alla lunga, potrebbero rompere i maroni. Manco a farlo apposta, avevo appena discusso con mia moglie della miniserie tv che ci siamo bruciati in una sera, i cinque episodi di “Disclaimer – La vita perfetta”, scritta e diretta da Alfonso Cuarón, un argomento che, appunto, si trova agli antipodi dell’ingegneria della termoregolazione e che mi ha consentito di guadagnare 10 punti netti al Fantasocial, balzando in testa tra i miei compagni di torneo.
Comunque, con mia moglie, io andavo sostenendo che la trama di “Disclaimer” non sta in piedi ma, nel commento che ho postato e che riporto qui sotto, c’è un’elevata concentrazione di spoiler quindi il mio, di disclaimer, è che questa riga è l’ultima possibilità che vi resta per cambiare lettura prima di rovinarvi l’esperienza di visione.
Il romanzo della scrittrice Renée Knight, da cui è tratta la serie, è stato pubblicato nel 2015. Possiamo supporre la sua gestazione e la conseguente ambientazione almeno intorno al 2010. Nicholas, durante lo svolgimento dei fatti, ha 25 anni. Ai tempi del viaggio in Italia in cui Jonathan ci lascia le penne ne aveva 4, quindi Jonathan e Catherine vivono la loro infuocata notte di sesso venti anni prima, ipotizziamo nell’estate del 1990 circa. Ne conseguono alcune grossolane approssimazioni di ricostruzione storica. L’ostentazione di “Ti amo” di Umberto Tozzi come commento musicale in grado di evocare una sintesi dei luoghi comuni sui flirt consumati nella cornice delle località balneari delle estati italiane è fuori contesto. Nel 90 o giù di lì gli anni 70 erano finiti da un pezzo e nessuno si sarebbe sognato di ascoltare quel vecchiume, il revival di “Anima Mia” e compagnia cantante era ancora lontano da venire.
La storia poi inizia con Jonathan e Sasha che trombano nello scompartimento di un vagone letto di un Eurocity. Si vede il controllore entrare senza preavviso, cogliendo i due sul fatto, un’intrusione che non sta né in cielo né in terra. Ma non è tutto. Jonathan, più di una volta, si fa i selfie a Venezia con una macchina fotografica tradizionale con tanto di mega-obiettivo, cosa che a nessuno sarebbe mai venuta in mente. In primis, in quanto gesto sconveniente secondo qualunque principio dell’ergonomia: le fotocamere di una volta erano tutt’altro che maneggevoli e pratiche per puntarsele contro. Senza contare che, prive del display nella parte anteriore, la possibilità di inquadrarsi e regolare la messa a fuoco manuale dell’obiettivo – per non parlare di non riuscire nella foto con una faccia da idiota – è pressocché impossibile. Piuttosto, Jonathan e Sasha avrebbero potuto fermare qualcuno, come si faceva ai tempi in cui eravamo ancora animali sociali dal vivo, e chiedergli di scattare una foto. A Venezia quindi c’è un altro svarione anacronistico di sceneggiatura: il conto della navigazione sulla gondola gli viene calcolato in euro anziché in lire. Vabbè, questo dettaglio è da ossessivo-compulsivi e facciamo finta di niente, e comunque potrei sbagliarmi io.
Non posso invece soprassedere sulla prestazione di Jonathan nella trombata di cui sopra. Il ragazzo conclude in anticipo il suo apporto, rispetto alla partner, un passo falso dovuto all’irruenza tipica dei diciannove anni e che si ripropone qualche sera dopo a letto con Catherine, e fin qui non c’é nulla di sorprendente. In entrambi i casi, però lo si vede riprendere con successo la performance senza soluzione di continuità, in un caso a quanto sembra senza nemmeno sottrarsi almeno per una veloce pulizia delle parti coinvolte, una scena di fanta-erotismo che contribuisce a diminuire la portata di credibilità della storia. Una tecnica che per qualcuno può riflettere fedelmente la normalità, ma non per lo spettatore maschile medio, che già a fatica porta a compimento la prima sessione in modo soddisfacente, figuriamoci la seconda e senza nemmeno un adeguato tempo di recupero.
Poi non è per nulla convincente tutta la questione del libro. Catherine riceve una copia di “The Perfect Stranger” nel primo episodio e ne rimane sconvolta. Il modo in cui il marito Robert sottovaluta lo stato di choc di Catherine non è per nulla credibile, se consideriamo la devozione e l’attenzione che pone nei suoi confronti. Un compagno di vita di quel tipo, come minimo, osservando la reazione della moglie, si sarebbe subito precipitato a leggere il romanzo. Ma, se fosse andata così, un personaggio intelligente come Stephen avrebbe collegato immediatamente le vicende della protagonista con la vita di Catherine, e la serie sarebbe finita lì, alla prima puntata.
Senza contare la coincidenza del ritrovamento della seconda copia del libro nel negozio in cui lavora Nicholas. Nel giro di qualche giorno una madre e un figlio ricevono misteriosamente lo stesso romanzo – un libro peraltro di self-publishing – e nessuno si insospettisce? Ho trovato poco chiara anche la stesura stessa di “The Perfect Stranger”. Nancy – la madre – non ha nessun contatto con Catherine nei giorni successivi alla morte di Jonathan. Mi chiedo quindi come abbia fatto a descrivere minuziosamente i dettagli erotici tra Catherine e Jonathan senza che nessuno glieli avesse mai raccontati. E la stesura doveva essere decisamente fedele ai fatti, se osserviamo la reazione di Catherine dopo la lettura. Come è possibile che abbia scritto la storia per filo e per segno fantasticando solamente sulle stampe delle foto scattate dal figlio? Infine, quando Stephen – il padre di Jonathan – allestisce la libreria di riferimento di Catherine con svariate copie del romanzo, il comportamento della proprietaria nell’organizzazione della presentazione del libro risulta inverosimile.
Anche il modo in cui Stephen, nel primo episodio, trova la chiave del cassetto della scrivania di Jonathan in cui la moglie ha conservato le bozze dattiloscritte del libro fa acqua da tutte le parti. La chiave è in una borsetta che cade dal fondo dell’armadio di Nancy dopo che Stephen lo svuota dai vestiti della consorte. Stephen sostiene che Nancy abbia voluto fare in modo che lui trovasse la chiave, e quindi il romanzo. Ma, se davvero fosse stato davvero così, non l’avrebbe certo nascosta in punto che solo un evento totalmente casuale gliela avrebbe fatta scoprire. Piuttosto, semmai, il contrario: Nancy, stremata dal dolore per la perdita del figlio e successivamente dal cancro, si pente in punto di morte di aver scritto il libro e cerca di nasconderlo al marito proprio per evitargli inutili ulteriori sofferenze e rischiose conseguenze.
Un altro aspetto che ha deluso le mie aspettative è stata la conferma che Jonathan è davvero morto annegato per salvare Nicholas, mentre tutto mi faceva pensare (o almeno fino alla fine ho sperato) che, in realtà, Catherine avesse avuto un ruolo attivo nell’uccisione del suo amante e potenziale stalker in grado di distruggere la sua famiglia perfetta. Certo, esimendosi dal dare l’allarme ai bagnini sul pericolo in corso in mare ha contribuito alla morte del ragazzo. Ma la cicatrice sul braccio di Nicholas, notata dai genitori al momento del riconoscimento del cadavere, per un po’ ha lasciato spazio all’immaginazione di un colpo di scena.
Mi è sembrato molto forzata, infine, la dinamica del contatto su Instagram conclusivo tra Nicholas e il profilo fake di Jonathan gestito da Stephen e il loro scambio di messaggi, nell’ultimo episodio che sancisce l’atto finale della tragedia che condannerà Nicholas, al culmine della disperazione, al sacrificio di sé e alla redenzione. L’uso manipolatorio dei social non è affatto realistico e la scena non è approfondita a sufficienza, per non dire troppo frettolosa.
E poi, obiettivamente, una messa come Leila George D’Onofrio in quale film ti invita a salire in camera in quel modo?
Ciao, innanzitutto complimenti per il blog! Ho trovato questo articolo molto interessante e pieno di spunti di riflessione. Grazie per aver condiviso queste informazioni!