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Una cosa che manda in brodo di giuggiole i genitori sono gli insegnanti che fanno ascoltare i Beatles in classe. Non ho abbastanza elementi per dimostrare se si tratti di una best practice pedagogica consolidata o semplicemente di una leggenda metropolitana, tanto quanto l’esposizione a Mozart degli esseri umani sin dalla fase pre-natale che ci renderebbe più intelligenti, men che meno di un metodo di mia invenzione.

Da attempato musicologo trombone posso solo dimostrarvi l’interdisciplinarietà del valore dei Beatles, nella fascia di età della scuola primaria. Sono utili se insegnate inglese, ovviamente, perché vi permettono di coniugare lo sviluppo dell’orecchio alla pronuncia perfetta con un dizionario adatto a qualunque esigenza, per non parlare di ciò che il quartetto di Liverpool rappresenta, ossia un’icona inconfondibile della cultura e della civiltà britannica. Sono utili se insegnate musica, perché rendono superfluo il ricorso alle zecchinate d’oro per l’intrattenimento dei più piccoli e intercettano le derive tamarre, nel migliore dei casi verso la trap di periferia ricca di parolacce, nel medio dei casi verso il pop in quota Annalisa e battiti live vari, nel peggiore dei casi verso i balli di gruppo da oratorio/club vacanze, grazie alla portata di un’alternativa convincente, comunque popolare, decisamente autorevole, poco di nicchia, tutt’altro che superata e di facile ascolto. Sono utili anche se insegnate italiano – i loro testi grondano di citazioni utili a semplificare grandi questioni, una volta tradotti – e perché no storia, in quanto perfettamente ascrivibili a un periodo decisivo per la modernità. Per non parlare del cartone animato di Yellow Submarine, provate a proiettarlo in classe e godetevi le reazioni.

Ma mai avrei immaginato che il mio vezzo di introdurre le lezioni con una sigla, una canzone dei Beatles – siamo partiti con la classica “All Together Now”- da variare ogni mese per catturare al meglio l’attenzione dei bambini, avrebbe generato una così invidiabile sintonia con i genitori della seconda C, la classe in cui insegno solo inglese. Le famiglie sono i principali stakeholder della scuola, metterli al corrente nel corso delle assemblee di classe di quello che facciamo costituisce un insuperabile veicolo di customer satisfaction. Ho presentato il programma nemmeno fossimo all’università – in seconda sono previste due ore la settimana, una in più rispetto alla prima – e senza volerlo ho centrato in pieno le aspettative rispetto all’insegnamento della lingua straniera, oggi secondo solo alle STEM come ossessione didattica della scuola dell’obbligo. Un papà ha detto che proporre i Beatles ai bambini gli sembra un’idea fantastica, tutti gli altri hanno confermato di trovarsi d’accordo, una mamma dichiaratamente metallara mi ha chiesto addirittura che cosa pensavo di far ascoltare nei prossimi anni. Non le ho detto che con i metallari noi dark ci menavamo, anzi i metallari menavano noi, negli anni ottanta, non mi sembrava la sede più adatta. Ma non è questo il punto.

So di deludervi, ma a me l’idea di somministrare una seconda lingua a mocciosi che a malapena si sanno esprimere nella prima non convince per niente, e mettere musica in inglese mi sembra comunque un modo efficace per perdere un po’ di tempo a lezione. Alla fine l’inglese per bambini così piccoli si risolve in una serie di istruzioni e parole tradotti letteralmente da imparare a memoria. Se va bene così, allora non c’è problema anche da parte mia. Un bagaglio a mano linguistico utile a sguinzagliarli da soli ad acquistare gelati in occasione delle prossime vacanze all’estero che farete. Un consiglio però: controllate che sappiano farsi restituire il resto corretto.

Il problema sono semmai le foto in bianco e nero, dei Beatles. Com’è possibile che siano esistiti giovani negli anni 60?, sembrano chiedere i bambini. Com’è possibile che delle canzonette pop siano state composte quando i nostri nonni erano appena nati? Quanti anni hanno, ora, quei capelloni?

Io sono uno che non indora certo la pillola, faccio eccezione solo per Babbo Natale ma non ho nessun problema a dire tutte le altre verità. Paul ha 82 anni, Ringo 84, George è morto a causa di un tumore e John è stato addirittura freddato da un folle mitomane a 40 anni, davanti a casa sua. Spoilero immediatamente come stanno le cose per evitare il susseguirsi di domande morbose su argomenti che interessano tantissimo i bambini di quella fascia di età e tagliare corto.

Questa volta però c’è stato un plot twist che devo assolutamente raccontarvi. Ginevra, quella che siede nel secondo banco, è piena di tic perché a 4 anni è stata dimenticata sullo scuolabus che la portava alla scuola materna. Ha trascorso tutta la mattina chiusa nel deposito fino a quando qualcuno è riuscito a ricostruire la catena degli avvenimenti, l’ha riportata a casa e sono state avviate tutte le procedure del caso per attribuire la scala delle responsabilità. La mia è una scuola di un comune di quattro gatti, e questa notizia ha fortunatamente fatto passare in secondo piano quella – decisamente più sconveniente per l’istituzione che rappresento – del nonno che ha sbagliato a ritirare il nipote giusto. Ha preso un bambino e, sulla via di casa, qualcuno che lo ha rincorso gli ha fatto notare il qui pro quo.

Dicevo che Ginevra, tra un tic e l’altro, scesa l’attenzione sulla morte dei Beatles, mi ha chiesto se i musicisti quando diventano vecchi vanno in pensione. Volevo dirle che sarebbe una cosa fantastica perché significherebbe che quello del musicista è un lavoro, che i musicisti arrivano a un certo punto della loro vita senza morire di overdose o suicidarsi a ventisette anni e che, a quel punto della vita, sono riconosciuti da un sistema previdenziale che tiene i conti anche alla loro attività e che fa anche per i musicisti i calcoli per capire quando è il momento di fermarsi. Che poi sarebbe un bene che i musicisti, a quel certo punto della loro vita, si fermassero. Volevo dire a Ginevra che avevo la risposta, o meglio che le avrei risposto solo dopo aver ascoltato il nuovo disco dei Cure che sta per uscire, tra qualche settimana. Avrò le idee più chiare sul fatto che i musicisti sanno riconoscere davvero quando è il momento giusto per andare in pensione.

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