Sono pochi i mestieri come il mio che, tra i rischi, comprendono la possibilità che un moccioso di sei anni ti vomiti sulle Camper scamosciate. Il fatto è che, per la prima volta da quando insegno, ho un bambino cinese con cui instaurare un rapporto normale, e per normale intendo che io parlo e lui mi risponde, oppure lui parla, io capisco e posso rispondergli. Mi spiace se avete intercettato una venatura di ottuso razzismo in quello che ho scritto, ma vi posso assicurare che le mie ragioni sono motivate e la provenienza (che poi sono tutti bambini italiani nati qui, fatti e finiti, ma lo sarebbero anche se non fossero nati qui, non vedo problemi) non c’entra un tubo. Due cicli fa c’era una ragazzina che praticava il mutismo selettivo, e io rientravo a pieno merito nella sua blacklist appartenendo alla categoria degli adulti non di famiglia con l’aggravante dell’autorità precostituita. Il ciclo scorso è stato quindi il turno di un bimbo ipoacusico, un po’ Asperger e tutto accartocciato nel suo mondo di numeri e forme geometriche. Mi manca molto, e sono sicuro che qualcosa delle nostre conversazioni strampalate e senza capo né coda sia rimasto anche a lui.
Quello di quest’anno è invece simpaticissimo e dolcissimo, anche se un po’ timido. Lui mi parla, io gli parlo, e insomma ci capiamo. Ieri, durante la merenda di metà mattinata, mi ha detto di accusare un po’ di mal di pancia, dopo pranzo. Gli ho proposto di chiamare a casa, ma ha preferito resistere. L’ho rassicurato chiedendogli di avvisarmi, nel caso il fastidio perdurasse. E così è stato. Pochi minuti dopo mi si è avvicinato – eravamo al centro della classe – ha biascicato qualcosa di cui, purtroppo, non ho colto granché.
Un’incomprensione che si è rivelata fatale. Ha riaperto bocca ma, questa volta, non per parlare. Ho fatto un balzo all’indietro ma non è stato sufficiente. Il vomito – poca roba, per lo più acqua, non so perché ma i bambini da quando si portano le borracce ecologiche a scuola bevono come dei cammelli, e la merendina appena consumata – si è distribuito democraticamente tra il suo zaino, il pavimento e le mie scarpe.
La procedura, quando un bimbo sta male, è quella di avvisare in segreteria in modo che la segreteria chiami uno dei genitori. Da più di una settimana, però, i telefoni degli uffici amministrativi sono guasti, come dicono loro. Chiami e ti dà sempre occupato. Non saprei dirvi se sia una cosa da nulla, una di quelle che si risolvono spegnendo e accendendo qualcosa, se qualcuno non ha pagato una bolletta o se il problema è invece serio. Il punto però è che in nessun’altra organizzazione, di qualunque settore o dimensione, sarebbe ammissibile un black-out dei telefoni di questa portata. Più di una settimana in cui un servizio (acquistato da un servizio pubblico) non funziona e nessuno è venuto a sistemarlo, sempre che qualcuno abbia chiamato l’assistenza.