La prima cosa che mi ha convinto del mestiere dell’insegnante è che, a differenza dei lavori che ho svolto prima in cui ero sempre il più vecchio o quasi, nella scuola ogni anno c’è gente che va davvero in pensione. Ho la prova che esistono persone anziane che, quando la legge glielo permette, smettono di lavorare. Non è una favola.
Al termine del collegio docenti conclusivo erano in otto, a questo giro. Sette colleghe (come sapete, i maschi che insegnano sono mosche bianche) e Anna, la mia bidella preferita, anche se bidella non si dice più. Esaurito l’ultimo punto all’ODG, un nuovo ultimo collegio docenti plenario ha chiuso anche quest’anno scolastico (anche se in realtà saremmo in servizio – pronti in caso di necessità, ma che nessuno si guarda bene dal causare – fino al primo giorno di ferie) non prima di aver festeggiato il personale uscente.
Ma non è questo il punto. Siete mai entrati in una scuola a fine giugno/primi di luglio? Se non credete che l’equazione caldo e fannulloni abbia delle ragioni fondate – che è il luogo comune che il nord del mondo associa al sud del mondo, popoli del Mediterraneo compresi, cioè noi – dovreste mettere piede in un edificio scolastico italiano in estate. Le nostre strutture sono assolutamente inadeguate per un prosieguo dell’attività didattica post calendario, quindi alle cosiddette mamme di merda (non è una diffamazione, si autodefiniscono così loro stesse, provate a documentarvi su Facebook) che ci vorrebbero in cattedra, a noi docenti, e al loro banco, i loro mocciosi, dico che per me va bene.
Prima però voglio l’aria condizionata come negli uffici delle multinazionali in cui probabilmente lavorano loro, e dell’installazione pretendo che se ne occupino i loro mariti, considerando che l’iter per un’opera di riqualificazione di questa entità – richiesta dei docenti alla segreteria, richiesta della segreteria al preside, delibera in consiglio d’istituto e approvazione, richiesta del preside al dirigente dell’ufficio scolastico del comune, proposta in consiglio comunale, aggiunta della voce in bilancio e delibera dei lavori, assegnazione dell’appalto, avvio dei lavori, avanzamento dei lavori, chiusura dei lavori, collaudo e sono sicuro di aver saltato qualche pezzo – si concluderebbe il primo anno dopo il pensionamento mio e di quelli che la pensano come me, quando cioè probabilmente il mondo sarà liquefatto a causa del riscaldamento globale e dei condizionatori non sapremo più che farcene, anche perché i combustibili fossili saranno esauriti e non avremo più energia e tanti saluti all’umanità e alla pedagogia come l’abbiamo conosciuta.
Ed è in questo clima subtropicale monsonico post-negazionista che si consumano i festeggiamenti per i colleghi in uscita. Banchi doppi uniti a formare infinite tavolate a ferro di cavallo imbandite di pizzette, focaccine, tramezzini, brioches salate e mini-panini imbottiti burro e salame, tutte cose a cui io non so resistere. Solo, riflettendo sui rischi di un rientro in auto all’una del pomeriggio con quaranta gradi, il cielo coperto e quell’aria gelatinosa che avviluppa ogni cosa nell’attesa di un tornado da cambiamento climatico, ho declinato l’invito a brindare e poi vuotare alla goccia il calice in plastica non riciclata colmo di bollicine che qualcuno aveva riempito per me.
Negli edifici scolastici, d’estate, e in particolare questa che, con tutti i progetti finanziati dal PNRR che ci sono in ballo, è un’estate molto particolare, succedono strane cose. Ci sono i presidi che impazziscono, parto dalla cima della gerarchia. Ci sono i bidelli a ranghi ridotti che, d’estate, hanno più la funzione di custodi, anche se li vedete pulire cose e ambienti che hanno già ampiamento pulito le settimane prima. Loro sono il vero muro di gomma ed è giusto così, altrimenti ci troveremmo circondati da scuole finlandesi e proprio non è il caso, anche perché con queste condizioni meteo si squaglierebbero all’istante.
Ci sono un paio di amministrativi a chiudere tutte le questioni che gli ultimi mesi di scuola, che stanno all’anno scolastico come il finale caotico e accelerato di certi brani musicali sta all’andamento statico di certi brani che poi esplodono con un finale caotico e accelerato, quando una sana normalizzazione dei ritmi nel corso dell’anno sarebbe il toccasana per la scuola italiana, dicevo tutte le questioni rimaste in sospeso.
Ci sono infine due o tre sfigati, più due che tre, in alcuni casi addirittura uno solo, che tengono corsi di formazione ai colleghi, sistemano i nuovi ambienti didattici, mettono in ordine l’equipaggiamento informatico e digitale, e profanano la scuola con abbigliamento da bassa manovalanza, sudando come maiali e trascorrendo da soli la pausa ai distributori automatici con lattine di chinotto ghiacciato a sessanta centesimi, roba che al bar la pagherebbero almeno il triplo.
Ma, anche se in estate la scuola è vuota, se vi affacciate in una scuola in estate, chiudete gli occhi e vi concentrate sul vostro respiro, vi accorgerete che la scuola è sempre piena. C’è pieno di umanità, a scuola, e a scuola si fa il pieno di umanità. Anche tra i colleghi che partecipano ai corsi di formazione e che ringraziano i colleghi formatori e i colleghi formatori ringraziano i colleghi che partecipano perché è già luglio e tutti vorrebbero essere sull’autostrada del sole, possibilmente non in coda, a rotolare verso sud.
E non smetterò di meravigliarmi ogni volta in cui effettuo l’accesso al mio profilo Facebook e, in cima, riconosco i colleghi con cui l’algoritmo vorrebbe mettermi in contatto ma io me ne guardo bene. La scuola, malgrado faccia di tutto per mutare il suo codice genetico che è di carne, ossa, sangue, sudore, lacrime, bestemmie e passione (e anche un po’ certificati medici in momenti strategici dell’anno) in digitale, non svilirà mai la sua natura fisica in un simulacro virtuale. Accedo al mio profilo Facebook, nei giorni d’estate, quando ogni altra persona normale che non fa l’insegnante è in ufficio, e scorro la home fino a quando spunta una foto di PJ Harvey. C’è sempre una foto di PJ Harvey – per la quale nutro una venerazione che non vi sto a raccontare – che mi aspetta e che compare tra una notizia e l’altra, e la convinzione che Facebook mi legga nel pensiero si tramuta in certezza.