solstizio

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La qualità delle intuizioni degli utenti sui social – anche i più brillanti – lascia sempre più a desiderare. D’altronde abbiamo ampiamente dato e ora non ci resta che resistere in attesa della nuova innovazione disruptive – almeno quanto le piattaforme come Facebook e speriamo più dell’AI – che ci permetta di tornare a dare il massimo con la nostra sagacia. Ci ho pensato qualche giorno fa, attirato dal titolo di uno dei soliti articoli proposti dall’algoritmo al di fuori dalla mia bolla consolidata. In pratica si sosteneva che, oltre ad averci preso tutto, ci hanno anche sottratto la primavera come l’abbiamo sempre conosciuta. Ha fatto un tempo pessimo da marzo a giugno, ha piovuto quasi sempre e, come immagine a supporto, c’era una versione del dipinto “La primavera” di Botticelli ai tempi del cambiamento climatico, priva delle sue qualità essenziali e rivisitata secondo i toni e i soggetti tipici del meteo a cui siamo esposti Ho provato a riproporla perché l’esperimento mi ha incuriosito – è quella che vedete qui sopra – ma mi manca qualche sfumatura decisiva per un prompt efficace, per non parlare di una piattaforma professionale – io non vado oltre quelle più comuni e gratuite, mica ho tutti sti soldi da buttare via – di creazione immagini con l’intelligenza artificiale. Ma, qualunque sia l’immagine a supporto, il punto è che oramai sono anni che le cose vanno così. Nonostante ciò, l’idea che abbiamo della stagione della rinascita, nei mesi invernali, è ancora quella che ci siamo costruiti da piccoli con tutti i luoghi comuni oggi ampiamente sfatati. Viviamo sempre nella speranza che, prima o poi, tutto tornerà come prima. Io non ci ho pensato due volte ad acquistare i biglietti per il concerto dei The National a giugno, lo scorso dicembre, e non mi sono minimamente posto il problema che, come poi si è verificato, ci sarebbero state concrete possibilità di maltempo (il forte temporale che si abbattuto sul Carroponte è terminato qualche minuto prima dell’inizio previsto del concerto). E, considerato come sono andate le cose anche in altri festival, il punto è proprio che dovremmo rivedere tutto il nostro immaginario collettivo, oltre al palinsesto delle iniziative outdoor. L’autunno e la prima parte dell’inverno sono le nuove belle stagioni. L’estate è una inutile sauna in cui molti dei principi fondativi della nostra civiltà – lavorare, svagarsi, viaggiare e persino fare sesso – sono preclusi da temperature ingiustamente elevate, a Natale c’è il sole e, per il resto, monsoni e temporali ad orari regolarissimi.  Io però ho voluto dare ragione all’autore dell’articolo che tirava in ballo Botticelli e che avrei apprezzato di più se ci avesse messo di mezzo anche Vivaldi, magari con una versione in minore – anch’essa opera dell’AI – della sua, di Primavera. Mi sono sentito target per il taglio dichiaratamente grillista e complottista dell’articolo. Anch’io sono anziano e vivo nel mito delle giornate che si allungano. Vivo tutto l’anno pianificando modi per trascorrere le lunghe serate di maggio e giugno all’aperto, bearmi del tramonto, del passaggio dal giorno alla notte, della brezza che impone il golfino in cotone sulle spalle, del gelato da passeggio tra i ragazzini in piena esplosione ormonale e i cani che impazziscono tra i profumi della natura. Ma, anche quest’anno, è finita sul divano, a scartabellare il catalogo delle piattaforme di streaming alla ricerca di film e serie interessanti o, al massimo, al computer a scrivere cose come questa, mentre fuori si scatenava l’ennesimo acquazzone programmato da un timer la cui severità, nessuno di noi, sono certo si meriti. Poi, diceva l’articolo, qualcosa o qualcuno gira la manopola, il forno si accende, prepariamo le valigie e chi si è visto si è visto.

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