Mai mi sarei immaginato che la canzone più adatta alla situazione la potesse proporre Denis. Intanto perché fino ad allora, quando era stato il suo turno di fare il dj, mi aveva steso con la peggio trap, talvolta in rumeno e talaltra in un italiano stentato cantato da rumeni. Per non parlare di un certo reggaeton da Eurovision Song Contest con quell’inconfondibile flavour da ex repubbliche sovietiche lasciate in balia del capitalismo più sfrenato o, il punto più infimo, un certo Artie 5ive (scritto così) e il suo concentrato di doppi sensi, anzi, di sensi unici fin troppo espliciti della hit “La gattina”.
Invece Denis, a pochi minuti dall’ultima campanella, quella definitiva, quella a mai più rivederci, buona fortuna nel buco nero della scuola secondaria di primo grado e nei docenti che la popolano, ha lasciato di stucco tutti, almeno me, con un vero colpo da maestro.
Intanto il cantante, Cesare Cremonini, che di tutta la monnezza poppettosa e italomerda è uno dei più raffinati. La canzone, poi, non è certo l’ultima arrivata. Risale al 2015 quindi, di sicuro, c’è lo zampino dei genitori, una coppia che adoro e che è perfettamente riconducibile a tutti gli stereotipi che circolano da noi sui maschi rumeni e sulle loro consorti.
Infine il testo e il suo senso, il che significa che Denis l’italiano lo capisce alla perfezione – magari anche grazie a noi maestri – e che è perfettamente in grado di mettere in collegamento gli input che lo investono in una lingua che, a casa, non si pratica con assiduità.
E vi assicuro che non avevo mai fatto caso alla canzone fino all’ultimo giorno di scuola, fino a quando Denis l’ha chiesta espressamente come sigla di chiusura di tutto il nostro percorso – altro che “Just Like Heaven” come pensavo io – se non per il video realizzato con la telecamera 360 e quell’effetto assurdo che, ai tempi dell’AI e dei deepfake, sembra davvero una clip realizzata a Croda dai Gemelli Ruggeri, se siete anziani come il sottoscritto avrete capito cosa intendo. Non avevo mai colto appieno il significato del testo, il valore di parole come
Coraggio, lasciare tutto indietro e andare
Partire per ricominciare
Che non c’è niente di più vero di un miraggio
E per quanta strada ancora c’è da fare
Amerai il finale
che, se le avessi lette prima, mi avrebbero fatto inorridire per la loro insulsa melensaggine.
Eppure, vedete, anche una cagata pazzesca come una canzone di Cesare Cremonini, al momento opportuno, ha il superpotere di lasciarci così, di svitare tutti i dadi e i bulloni che ci tengono prigionieri della nostra collezione di dischi post-punk tanto quanto della raccolta di emozioni complesse compresse represse, accumulate in anni e anni di pose, e ci liberano verso stati d’animo elementari come quelli che ci trasmettono le persone come Denis, alte poco più di un metro, che augurano buon viaggio a tutti magari senza sapere nemmeno che cosa vuol dire. Un viaggio non si sa bene verso dove, faccio finta di non saperlo e mi rifiuto di chiederlo.