Le celebrazioni previste per la settimana della pace a scuola non si sono concluse con la pace nel mondo, come pensavamo. Ci siamo accontentati di qualche cartellone con una riproduzione approssimativa della colomba di Picasso e, per noi delle quinte, la proiezione in auditorium del film “Wargames – Giochi di guerra”. Ho aderito con moderato trasporto all’idea della collega che ne ha proposto la visione perché, se da una parte il film mi ha consentito di dare continuità a una serie di titoli, già visti con la mia classe, utili a traghettare una certa estetica cinematografica anni ottanta del secolo scorso nel nuovo millennio – intercettando così e ponendo rimedio ai palinsesti poco rigorosi dei genitori dei miei alunni, a malapena adolescenti negli anni novanta e quindi testimoni poco autorevoli del decennio più importante della storia dell’umanità – dall’altra avrei preferito evitare che i bambini riconducessero la mia giovinezza a una sorta di preistoria in cui non esisteva il wifi ed era inevitabile il ricorso al telefono di casa per qualunque tipo di connessione da remoto (anche se il giochino dei toni e delle linguette delle lattine nelle cabine telefoniche potrebbe anche sorprendere qualche millennial appassionato di fantascienza retro).
Il limite del film in questione è proprio la componente tecnologica. Mi sono così adoperato per introdurre la proiezione con un preambolo dedicato all’archeologia informatica per aiutare i bambini (sono pur sempre un mansplainer e, di conseguenza, un techsplainer) a cogliere il senso del film senza soffermarsi troppo sulle macchine e sui monitor protagonisti della storia, anche se non so quanto il film potrebbe essere adattato alla contemporaneità. Bisognerebbe chiedere ai temibili hacker russi dei nostri tempi.
Cecilia, che si è seduta in prima fila, si è addormentata alla prima scena, quella dell’addetto alla stanza dei bottoni che non se la sente di premerli. D’altronde, come biasimarla? In un mondo touch, chi mai doterebbe di un pulsante così ridicolo per distruggere il mondo l’esercito degli Stati Uniti?
Quando però i miei bambini si premurano di farmi sapere – direttamente o indirettamente – di aver trovato noiosa una mia proposta didattica o anche qualcosa che mi piace (ogni volta mi riprometto di fare altrettanto, simulando un attacco di narcolessia mentre mi sfracellano i maroni con i loro interminabili aneddoti su quello che hanno fatto nel fine settimana), mi sento fortemente piccato e mi viene voglia di punire la classe con la proiezione delle filastrocche delle tabelline o con una maratona di edizioni dello Zecchino d’Oro, per far cogliere la differenza tra un insegnante tradizionale che li tratta da mocciosi ebeti e un pedagogista disruptive come il sottoscritto.
E pensare che, proprio il giorno precedente a questa debacle cinematografica, avevo visitato Didacta, la fiera dedicata al mondo della scuola. Il tema dell’edizione 2024 era, come potete immaginare, l’AI in tutte le salse, ma col fatto di aver deciso in extremis di partecipare, i seminari su ChatGPT e i suoi derivati erano già fortunatamente sold out. Restavano solo alcuni workshop di quelli che non se li fila nessuno, a partire da un incontro dedicato alla comunicazione della musica con un panel che puntava sul dualismo tra rock e trap e che mi ha coinvolto così tanto da monopolizzare la sezione dedicata alle Q&A, una cosa che, vi giuro, non è assolutamente da me.
Per il resto, era pieno di gente che si muoveva come automi dentro caschi per la realtà virtuale – una roba che nemmeno i Daft Punk – in mezzo a inquietanti cani-robot e ogni tipologia di automazione che, nelle scuole senza carta igienica e dei genitori che menano i presidi, per fortuna non vedremo mai. Ma il fattore più coinvolgente dell’iniziativa, come sempre, è trovarsi in mezzo a migliaia di insegnanti di ogni ordine proveniente da tutto il sud, cioè, volevo dire da tutta Italia. I docenti, lo sapete, si riconoscono lontano un miglio, quasi più dei poliziotti in borghese e dei carabinieri che vogliono infiltrarsi nella microcriminalità per stanare quelli che vendono gli spinelli ai giovani. E quando noi docenti siamo in gruppo – non necessariamente per partecipare a un collegio docenti – siamo a modo nostro bellissimi. Ho visto colleghi con trolley traboccanti di gadget e brochure proprio come a Natale alla fiera dell’artigianato. Io non ho preso nulla, non ho trovato nulla, ma solo perché non sapevo nemmeno cosa cercare.