Quando vado a correre la mattina presto nei campi dietro casa mia incontro abbastanza frequentemente un tizio che vive nei paraggi e che porta a spasso amorevolmente i suoi due cani. Sfoggia pantaloni mimetici e stivali di gomma verdi, un abbigliamento riconducibile alla caccia che trasmette continuità con il comportamento degli animali che lo accompagnano, non particolarmente adatti alla pratica venatoria ma lasciati comunque liberi di importunare – con cieca indulgenza da parte del loro padrone – la fauna selvatica (poco più di cornacchie, gazze e qualche pantegana in trasferta dai numerosi cantieri edili) e i podisti dilettanti. Mi sono meravigliato di pensare a lui durante la visione del film “As bestas”, andato in onda qualche sera fa su Rai boh. I lineamenti dell’uomo che incontro quando vado a correre, temprati dalle brutture dell’hinterland, dal disagio e dalle contraddizioni dei tempi che viviamo, non sorprenderebbero tra la popolazione rurale non solo della Galizia ma di qualunque regione ai margini della civiltà, ostile all’agricoltura sostenibile e desiderosa – come biasimarli – di progresso a ogni costo.
Di certo la popolazione autoctona considererebbe con sospetto il suo approccio con i suoi due cani. La gente di montagna infatti non va troppo per il sottile con gli animali, mentre nelle città l’attenzione e l’affetto di cui godono gli animali domestici ha raggiunto livelli probabilmente mai visti nella storia degli esseri umani. Qualche giorno fa ho notato quell’uomo in coda con me al discount giù all’angolo, in abbigliamento civile ma rigorosamente con i suoi due cani al seguito. Scambiava qualche considerazione con una cassiera temporaneamente intenta a riordinare uno scaffale e canara, a quanto ho capito dalla loro conversazione, tanto quanto lui. Entrambi riconoscevano con rassegnazione che i non proprietari di cani non possono capire chi i cani li ha. Come è possibile, infatti, convincere un cane a non pisciare sui muri o sui dissuasori in prossimità dei portoni dei palazzi o anche su un marciapiede? A differenza della cacca, un bisogno più facilmente intercettabile, fare pipì ha diversi significati per i cani e non si può certo scoraggiare il loro istinto di irrorare il suolo pubblico con inconfondibili segnali lasciati come monito (superfluo, direi, in un ambiente urbano) per i propri simili.
Non ne faccio una questione morale, ma ve lo immaginate un mondo dominato da bestie che comunicano con l’urina anziché a parole come facciamo noi? Nel mio piccolo, la mia gatta che ormai è decisamente vecchia non disdegna dal metterci al corrente del suo disappunto pisciando su un tappeto dell’Ikea in bagno. Mentre i social media traboccano sempre più di video di animali ripresi in strabilianti interazioni con i loro proprietari, c’è una crescente percentuale di cittadini che rimpiangono con altrettanto slancio il mondo dei loro nonni, tempi in cui nessuno avrebbe mai sottoposto un gatto a cure dentali e, abituati a vivere in strada, era comune che un animale domestico all’improvviso sparisse dalla circolazione senza fare più ritorno.
Mi sono chiesto anche che cosa pensi la mia gatta di noi che parliamo in continuazione, dialoghiamo, ci confrontiamo, raccontiamo aneddoti, ogni tanto alziamo la voce, spesso ridiamo e facciamo battute sciocche. Perché le bestie non sentono il bisogno di sviluppare una lingua come noi, chiacchierare tra simili e condividere anche con gli esseri umani le loro considerazioni, i loro bisogni e quello che pensano? E perché gli animali non cantano, non suonano, non esprimono le loro preferenze in fatto di musica? La mia gatta non desiste dal suo pisolino sul divano – posto di fronte ai diffusori dello stereo – indipendentemente dal disco che ascolto, e continua a dormire anche quando metto la musica più estrema.
Capita sempre più spesso, però, mentre ceniamo o pranziamo, che tenti di saltare sul tavolo, sicuramente attirata dall’odore del cibo più che dal momento conviviale, e che si rivolga a noi con versi ovviamente incomprensibili ma emessi nei tempi giusti, come se tenesse una conversazione. E so che, se riprendessi quello che accade e pubblicassi la story da qualche parte sui social, diventeremmo delle star del web. Più la gatta che noi, questo è sicuro.