che palle

Standard

L’essenza del Natale, nella sua accezione laica – ammesso che ne abbia una – è che gli sforzi dell’umanità, almeno di chi può festeggiarlo, si concentrano intorno a un palinsesto dedicato ad alcuni temi che negli altri periodi dell’anno non ci è possibile seguire per svariati motivi: la nostra natura, il lavoro che facciamo, il clima stesso, i fatti di attualità e il solito tran tran. Fino quando poi sopraggiunge dicembre – che, non so se avete notato, è lì che ci aspetta puntuale sin dal giorno in cui rientriamo dalle ferie estive – e tutti ci sintonizziamo più o meno sullo stesso canale e ci impegniamo a favorire le condizioni per cui l’unico scopo e il solo pensiero siano finalizzati a un motivo conduttore condiviso che, banalizzando, è riconducibile a far di tutto per fare stare bene il prossimo e, di riflesso, esporci in modo tale che il prossimo faccia stare bene noi, una versione con renne e slitte e festoni e canti ad hoc della strategia win-win, quella in cui tutti hanno la percezione di aver raggiunto gli obiettivi inizialmente prefissati.

Ed è impossibile sottrarsi a questa narrazione a meno che non viviate nella striscia di Gaza, in qualche paese del terzo mondo, nei territori in guerra o in qualunque area del pianeta devastata da una catastrofe naturale. Probabilmente la scansione del tempo – che a volte ci sembra una convenzione sociale ma poi, studiando rotazione e rivoluzione terrestre in scienze ci sono ben chiari i motivi per cui non dipende da noi – è stata pensata proprio per consumare fino al loro esaurimento i pattern ricorrenti (giorni, mesi, stagioni e anni e mi fermo qui, dai secoli in poi è tutto ampiamente fuori dalla nostra portata) intorno ai quali conduciamo la nostra esistenza. Se a sera ci addormentiamo sul divano al tg di Mentana, se non arriviamo alla fine del mese con lo stipendio e se a dicembre giungiamo stremati ci sarà un motivo. Voglio dire, probabilmente la natura ci dà il suo clic in cuffia, proprio come succede negli studi di registrazione, e noi viviamo seguendo quel ritmo. Questo per dire che siamo tutti uguali di fronte all’albero di Natale addobbato e ci abbandoniamo a quel mix agrodolce di pensieri che poi sublimiamo – alcuni la sera della vigilia, altri al pranzo del 25, ecco, in questo siamo diversi – nel convivio con gli appartenenti alla nostra specie più prossimi al nostro vissuto. Il punto è: è nato prima il natale o prima l’insieme di tradizioni che seguiamo rigorosamente ogni anno seguendo una check list consolidata da secoli? Prima dell’anno zero, a natale come passavate il tempo?

In casa, per le strade, alla tele, nei centri commerciali è impossibile sottrarsi allo stato d’animo diffuso. A scuola, poi, che è un concentrato di bambini che, del natale, costituiscono il core business, non ne parliamo, ed è sconsigliatissimo adottare deterrenti a questa sorta di pensiero unico. Quest’anno il consueto lavoretto di natale che purtroppo non posso decidere in autonomia ma è di competenza della collega più brillante in ambito bricolage e fai-da-te (se potessi decidere io farei un’infografica con Canva) consiste in una casetta costruita con le palette per spalmare la cera, che poi se le cercate su Amazon scoprirete che fungono anche da abbassalingua, spero non prima di averle lavate. Io, che con le attività manuali sono una frana, ho trasmesso tutte le mie perplessità sul tempo perso a realizzare male qualcosa che poi finirà nella spazzatura a feste finite ai miei alunni che, di conseguenza, a parte i soliti primi della classe che approcciano qualunque proposta con lo stesso invidiabile eccesso di zelo, è venuto una merda.

C’è poi Leonardo, che quest’anno è davvero al centro delle attenzioni di tutti, a cui invece il natale fa l’effetto opposto. Odia tutto e tutti molto più di quanto non esprima per il resto delle stagioni e l’insieme dei cambiamenti volti all’omologazione generale verso l’estetica e l’etica delle festività lo mandano in bestia con una frequenza maggiore del solito. Ogni pretesto è buono per far volare banchi e sedie in aria e, davvero, non sappiamo più che pesci prendere. Ci sono poi le colleghe che mi vogliono bene perché, alla fine, riesco a collegare sempre le loro stampanti di classe al pc dopo gli aggiornamenti che lasciano partire involontariamente, o anche solo perché hanno messo il cavo usb nella presa di rete del portatile. Sanno che mi piace il genepì e così, a dicembre, mi faccio la scorta per tutto l’anno.

Tra i membri del team dell’interclasse ci facciamo sempre un pensierino, una candela, un segnalibro o qualche altro oggetto originale acquistato ai mercatini di natale. Il primo anno in cui ho preso servizio non lo sapevo, venivo da un ambiente professionale in cui il fattore umano non era certo al primo posto, e così sono stato l’unico a presentarsi a mani vuote ma, per fortuna, l’appartenenza al genere maschile mi ha sollevato dalla figura di merda. Sei un uomo, non ti preoccupare, mi ha detto la mia collega di classe. Da allora ogni anno mobilito mia moglie per supportarmi nella scelta delle cose più adatte da acquistare per il consueto scambio dei doni all’ultima riunione di programmazione di interclasse prima della pausa natalizia. Non che io non sia in grado di scegliere, ma solo perché vivo nella convinzione che, se acquistati da una donna, i regalini possano corrispondere di più all’idea che le mie colleghe hanno di me, un uomo che si affida a una donna per le cose da donna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.