Leonardo non ci ha pensato due volte e ha accettato la sfida. È stata la preside a farsi avanti: “prova a lanciarlo”, gli ha detto. E lui, il banco, glielo ha tirato addosso. Per fortuna Leonardo fa la terza, il banco era quello che pesava più dei due, e con il lancio non è andato molto lontano.
Leonardo è fatto così. Ha un interruttore, da qualche parte. Quando lo schiaccia si accende qualcosa e lui deve scappare. Da quando abbiamo scoperto questa funzionalità il cancello esterno della scuola dev’essere sempre chiuso – non che prima non lo fosse ma meglio controllare – perché con il portone con le maniglie antipanico c’è poco da fare. Leonardo preme l’interruttore, si accende e comincia a correre. Poi abbiamo scoperto anche un selettore, come quelli che hanno i giradischi per passare da 33 a 45 giri. La rabbia a trentatré giri, quella che si usa di più, lo fa scappare fuori dalla scuola. Quella a 45, che si usa meno frequentemente ai tempi della musica in streaming, gli fa dare i pugni alla cieca o scagliare la prima cosa che gli passa per le mani contro gli adulti che ha intorno. Succede più di rado ma non risparmia nemmeno l’autorità, come avete visto.
Non è un mio alunno – meno male – ma qualche giorno fa mi sono imbattuto per puro caso in una delle sue fughe. I miei bambini erano in mensa e sono salito in classe perché Jasmin aveva dimenticato le pastiglie effervescenti da prendere dopo mangiato. Mi è praticamente volato addosso scendendo lungo una rampa tra il primo e il secondo piano. Dopo l’impatto ha tentato un maldestro dietrofront ma quando ha visto arrivare di corsa la collega che lo stava inseguendo ha tentato di scavalcare il corrimano per buttarsi di sotto. Non c’è spazio tra le rampe quindi avrebbe fatto un salto di poco più di un metro. Ma il gesto mi ha fatto molta impressione, in un moccioso di otto anni. Lo abbiamo placcato ma è riuscito ad allentare la presa della collega che lo teneva per le spalle e ha ripresa la sua fuga, questa volta verso il piano di sopra.
Ci siamo precipitati dietro a Leonardo fino in biblioteca dove, oramai braccato e senza via di fuga proprio come un animale selvaggio, ha spalancato una finestra e ha compiuto persino il gesto di arrampicarsi per farci capire che, con i gesti estremi, non sarebbe sceso a compromessi, anche se prima avrebbe dovuto scardinare la tapparella a lamelle orientabili. Messo in sicurezza l’ambiente, Leonardo ha scelto di mettere tutto a soqquadro, facendo volare in aria libri e sedie e qualunque cosa si trovasse sui tavoli. Mi ha addirittura gettato addosso uno dei pouf colorati. Con un riflesso in cui non mi riconosco assolutamente, ho afferrato il pouf al volo. Mi sono avvicinato e, tenendolo tra me e lui, l’ho invitato a prenderlo a pugni. Dopo una raffica di colpi di boxe Leonardo ha esaurito la carica e, mosso da un inconsapevole impeto di autoconservazione, ha premuto il suo pulsante in posizione off. Gli occhiali gli si sono appannati ed è scoppiato in lacrime.
La mia collega si è fatta avanti con una proposta geniale. “Perché non scriviamo una mail alla preside per chiederle se ci compra un punching ball?”. Leonardo ha acconsentito, ma non perché non avesse nessun’altra risorsa da spendere per trovare una soluzione alternativa. Ha capito.
Ci siamo così seduti uno a fianco all’altro, la mia collega, Leonardo ed io, in una delle postazioni del laboratorio di informatica, adiacente alla biblioteca. Ho fatto log in con il mio account Google Workspace, ho cliccato su nuova mail, ho inserito l’indirizzo della dirigente, ed è andata così:
buon giorno preside,
sono leonardo di terza b
ogni tanto sono arrabiato
e vorei un pungiball
grazi presid arivederci
Ho indicato a Leonardo il tasto per l’invio ma sapeva già fare tutto. Abbiamo spento il pc e, senza che gli dicessimo nulla, si è allontanato lentamente dalla postazione, ha raggiunto la biblioteca, lì a fianco, e, partendo proprio dal pouf, ha cominciato a rimettere tutto in ordine.