Con l’introduzione dell’orario definitivo ho ripreso a fare musica in classe. Ieri – è stata la prima lezione dell’anno – per partire con il piede giusto ho creato insieme ai bambini, che a dir la verità sono quasi ragazzi, siamo in quinta, una playlist di classe su Spotify. L’iniziativa fa parte di una serie di attività che vorrei portare a termine quest’anno finalizzate a cose che mi piacerebbe che i miei alunni portassero con sé lungo il percorso che li aspetta da giugno in poi. Qualcosa che, da grandi, guardandolo o ascoltandolo o leggendolo possano ricordarsi della nostra esperienza comune, quello che abbiamo fatto, il tempo trascorso insieme, le esperienze condivise, l’amicizia con i compagni.
Il rischio è che sia uno sforzo inutile, un progetto fine a se stesso. Non c’è passaggio di crescita come quello tra l’infanzia e l’adolescenza in cui ci si vergogna e si gettano via le cose del passato e, giustamente, si guarda al futuro, senza contare che, diventando grandi, è facile dimenticarsi di reminiscenze così remote. Non solo. Molti dei manufatti – fisici o virtuali – che si realizzano a scuola sono costruiti con materiali che si guastano nel giro di poco tempo. Anche se fossero fabbricati in acciaio o in qualsiasi altra lega metaforica, guardiamo i prodotti dell’educazione dei nostri figli alla primaria sicuramente con nostalgia ma consapevoli che non c’è spazio – se non volatilissimo, per esempio sotto il piatto del pranzo di Natale – nella vita e negli ambienti degli adulti per le cose da bambini. Pensate se avessimo conservato gli scarabocchi o le statuine in das di tutti i figli degli esseri umani dagli uomini primitivi in poi. Provate a sbirciare con occhio più responsabile nelle vostre cantine, nei vostri vecchi hard disk o anche nelle vostre coscienze. Noi insegnanti, per primi, siamo consapevoli che i bambini dicano e facciano e scrivano e propongano e pensino un mucchio di stronzate che per la vita e il mondo e la storia e l’economia e la politica sono superflue, peraltro sprecando una quantità di energie e di risorse con le quali potremmo risolvere come minimo il problema della fame nel mondo. Pensate quanti dischi potreste comprare con i soldi che spendete per giochi dei vostri figli, ecomostri in plasticaccia con tempi di degradabilità calcolati in ere geologiche, costruiti in Cina e progettati con un ciclo di vita inferiore alle 24 ore. Potremmo imparare qualcosa, se ascoltassimo i nostri figli, è quello che ci diciamo sempre. Ma poi qualcuno ci ruba il parcheggio, ci passa davanti in fila alla cassa dell’Esselunga, ci chiama per cambiare gestore del gas, prendiamo una multa e siamo daccapo.
La playlist di classe, i brani li scelgono loro, com’è facile immaginare è una scaletta vergognosa. Vi dico solo che l’unica canzone che si salva è il tormentone di Bruno Mars, per il resto c’è da mettersi le mani nei capelli. Forse il percorso evolutivo degli esseri umani è stato pensato così proprio per evitare, una volta grandi, di provare vergogna per i gusti di merda che abbiamo da piccoli. E, in questo periodo storico, con il pop puberale abbiamo davvero toccato il fondo ed è un peccato, perché non ricordo di aver ascoltato novità musicali interessanti come negli ultimi dieci anni a questa parte. Ieri sera, per dire, ho seguito la prima puntata in chiaro delle audizioni di Xfactor e la cultura musicale che c’è in giro è talmente disarmante che ho spento la tv, dopo la sigla finale, con un fortissimo senso di colpa per aver sprecato così tanto tempo in un’attività inutile. Che mi serva da lezione, mercoledì prossimo metterò su un ellepì della mia collezione, guarderò un film, leggerò un libro, andrò a prendere un gelato con la mia famiglia, ci sono tante cose più interessanti della deriva della società contemporanea ai tempi della meloni.
Qualche barlume di speranza sul futuro me la restituisce mia figlia, anche se so che sono di parte. Non avendo nulla da insegnarle, perché sostanzialmente non so combinare granché, però sono riuscito almeno a trasmetterle un po’ di amore per la musica, credo lo stesso che mi hanno trasmesso i miei genitori che, a loro volta, hanno ricevuto dai loro e così via, chissà fino a quante generazioni a ritroso nella mia famiglia. Oggi l’amore per la musica nei giovani non è così scontato, lo so di scrivere una banalità ma è così. La musica è un aspetto a corollario di altre cose, meme, videogame, balletti su TikTok ed esibizionismi di questo tipo, ma non ci si concentra più sull’atto artistico che sottende ai sottofondi della nostra vita, del nostro divertimento, dei nostri momenti romantici, di quando ci sfoghiamo o balliamo o ci viene nostalgia perché una combinazione di note ha fatto vibrare chissà quale cellula del nostro corpo. La musica deve vedersi in video, altrimenti è palpabile poco più del gas di scarico di un’auto.
Mia figlia ha il mio stesso approccio ossessivo alla musica, forse non è bello ma cosa ci volete fare. Nel giro di qualche mese è andata poco più che in giornata a Viareggio a vedere Lana Del Rey, a Monaco di Baviera per il concerto di The Weekend (“papà all’Ippodromo di San Siro c’è un’acustica pessima e poi c’è troppa polvere”), nei dintorni di Firenze per un happening di techno che è durato dodici e ore e a Napoli per vedere Liberato in piazza del Plebiscito. È partita di notte con un Flixbus da Milano, si è ricongiunta all’arrivo la mattina dopo con alcuni ex compagni di liceo che erano già lì, ha visto il concerto la sera, ha dormito da un’amica e la mattina dopo è rientrata in treno. Mi ha condiviso un po’ di foto e di video che mi hanno confermato che, per me, la stagione dei concerti è finita. Un mare di smartphone puntati verso il palco a riprendere pezzi di esperienze a cazzo che poi nessuno rivedrà mai più, come le letterine per la festa del papà o i lavoretti di pasqua e tutte quelle cose che si preparano a scuola e che nessuno ha ancora capito che fine facciano.
Flixbus per me è il ricordo di una bellissima stagione di viaggi in solitaria pieni di curiosità, scoperte, e imprevisti salutari. in un angolo, dentro di me, coltivo l’ostinata speranza di poterla rivivere, questa stagione