C’è un panettiere proprio sotto casa, l’edicola è poco più avanti. Gli alti edifici sono stati costruiti in modo così ravvicinato da chi ha fondato questo borgo seguendo una logica di isola di calore al contrario. Il sole non batte mai e l’aria che si incanala lungo le vie cala di temperatura come nei corridoi freddi dei data center di ultima generazione. Ho indossato una camicia con le maniche corte che porto fuori dai calzoni. Per godere di un senso di maggiore libertà lascio volutamente aperto l’ultimo bottone. Il vento si insinua da lì sotto e l’effetto sulla pelle è formidabile. La gente si affretta, come me, a sbrigare il minimo indispensabile delle faccende in quelle indefinite ore del mattino, prima che il caldo ci sorprenda in tutta la sua intransigenza. Riecheggiano un po’ ovunque i rumori della vita che riprende all’alba. Vecchi portoni in legno che sbattono chiudendosi dietro a chi si riversa nelle strade, altri che cigolano spalancandosi dopo lo scatto della serratura, spinti da chi già rientra. Tormentoni estivi trasmessi dalle radio accese nei bar prima che l’avviamento dell’aria condizionata imponga agli esercizi di isolarsi dall’esterno. Bambini che rivendicano senza successo la necessità dei giochi da mare esposti dal tabaccaio sulla piazzetta più avanti. E poi le infradito strascicate sulla pavimentazione ancora grondante delle secchiate d’acqua dei negozianti che se ne prendono cura. Approssimandomi al fondo della via, superato l’inconfondibile odore dei banchi della pescheria già assediata dai turisti, si sente il vociare dei primi bagnanti, qualche gommone a motore che prende il largo, qualcuno che intima a qualcun altro di fare attenzione, le onde cortissime che si abbattono, con il loro ciclo eterno, sul bagnasciuga. Per abitudine faccio un veloce controllo per non dover tornare indietro. Il libro, il telefono, gli auricolari, una rivista, l’acqua, la focaccia, il telo, il portafogli. Ancora un passo e sarò investito dal sole. Un altro e sarò arrivato.