Voi al Primavera, io al Techetechetè. D’altronde, ognuno raccoglie quel che semina. Mentre i giovani pogano con il meglio dell’indie-rock e della musica alternativa mondiale sotto il palco del celeberrimo festival di Barcellona, noi anziani cantiamo sudaticci sdraiati su un divano inadatto alla stagione seguendo il labiale di una versione adolescenziale in bianco e nero di Marcella Bella intonare rime di pura poesia come “con l’amico mio più sincero, un coniglio dal muso nero”. O, peggio, sbaviamo per la ballerina in canotta, tacchi e pantaloncini da basket anni 70 che si dimena su versi come “con il sole e con la pioggia ti bagnavi sempre tu, ero pronto ad asciugarti ma non ce la faccio più”, a completare un’improbabilissima coppia con Umberto Balsamo.
Ma tutto questo non è nulla paragonato al buco nero nel palinsesto di RaiTre tra il tg regionale e l’intramontabile “Un posto al sole”, soap che vanta il merito di tenere incollata mia mamma per mezz’ora alla tv dal 21 ottobre 1996. Cinquanta minuti di anarchia emotiva riempiti di volta in volta dall’accozzaglia dei programmi più eterogenei che si possano abbinare. Si inizia con Blob, ed è inutile soffermarcisi su in tempi come questi in cui qualsiasi ritaglio trash è in grado di surclassare persino i migliori fasti dell’era della claque giornalistica berlusconiana. E dopo il consueto bombardamento di amarezza e disagio del peggio della tv montato ad arte da Ghezzi e soci, RaiTre implode in un tripudio di buoni, anzi, ottimi sentimenti con il duo Bollani/Cenni. Uno al piano, l’altra a se stessa, rendono “Via Dei Matti Numero Zero” un’enclave di raffinatezza e buon gusto lungo l’autocelebrativa opera di divulgazione della musica meglio riuscita di tutti i tempi. Non solo. Invisi ai detrattori delle trasmissioni che portano in tv le coppie di fatto nella vita, gli sguardi d’amore e le mute (e mutue) promesse di eternità che si scambiano senza soluzione di continuità fanno traboccare miele e unicorni da qualsiasi schermo a cristalli liquidi, tanto da far dimenticare al telespettatore qualsiasi bruttura del mondo e dei tempi in cui viviamo.
Il punto è che l’oblio a cui inducono è fin troppo. Ieri sera hanno terminato la puntata (una replica dell’ultima stagione) con il consueto brano suonato e cantato al piano come sigla di chiusura, che era “Vorrei che fosse amore”, una canzone in cui a ogni passaggio romantico (quindi praticamente tutti) Bollani e Cenni si voltavano a guardarsi in un modo in cui vi auguro vi guardi il vostro partner. Il tutto senza sbavare di una nota (reputo Bollani il più talentuoso pianista di tutti i tempi).
La tv tracimava ancora di palloncini a forma di cuore e di cupidi armati di arco e freccia quando è iniziata la trasmissione successiva prevista dal palinsesto, “Il cavallo e la torre”. Avete presente i temporali che funestano la nostra penisola di questi tempi di riscaldamento globale? Un Damilano ancora più austero del solito si è palesato dal nulla senza sigla annunciando con la massima solennità il titolo/filo conduttore della puntata. “Catastrofe”, ha sentenziato, senza aggiungere altro.
I palloncini sono esplosi tutti simultaneamente, il miele si è trasformato in catrame e i buoni, anzi, ottimi sentimenti sono passati dallo stato aeriforme a blocchi di cemento armato senza nemmeno un goccio di fluido intermedio. Mi chiedo come sia possibile imporre un capovolgimento emotivo di questa entità, peggio di sfracellarsi contro un muro ai duecento all’ora senza airbag. Propongo di inserire qualche cuscinetto tra i due programmi o invertire la scaletta trasmettendo prima Bollani/Cenni, quindi Blob e infine Damilano. A mia mamma, quella che segue “Un posto al sole” ininterrottamente dal 21 ottobre 1996, peraltro Damilano non piace. Cari vertici RAI, sappiate regolarvi di conseguenza.