Io con le lingue sono un vero disastro. Già mi agito a conversare in italiano con le altre persone, potete immaginare il mio stato d’animo al cospetto di uno straniero. Mi fa stare talmente a disagio che ho anche sviluppato e brevettato una nuova fobia, la paura delle lingue straniere, che poi ho scoperto che esisteva già, come tutte le cose che pensiamo di sperimentare o anche solo dire per primi. Il punto è che il nome di questa paura, xenoglossofobia, fa ridere, e non rende l’idea del terrore che si prova quando non c’è verso di farsi capire o, peggio, di comprendere il prossimo. Quindi possiamo chiamarla solo paura delle lingue straniere e basta. Decido io, una piccola rivincita al tiro che mi ha giocato il destino. Ho un bambino spagnolo in classe, da qualche settimana, che parla solo spagnolo. A onor del vero è talmente sveglio che se la cava alla grande, con i compagni e con noi, e in questo breve periodo di esplorazione della nuova vita in Italia ha già imparato diverse frasi. Io, invece, no. Sono al punto di partenza. E non credete a quelli che vi dicono che lo spagnolo è facile e intuitivo. Il mio alunno è peruviano e parla velocissimo e tutto attorcigliato. Io uso Deeplo in classe per tradurgli le cose più importanti e lui ride perché l’intelligenza dei traduttori artificiali non è poi così aggiornata ai bambini di oggi. Ho fatto però il calcolo delle parole che so nella sua lingua e ho capito che non farò molta strada. Posso incitarlo come si sentiva nei cartoni di Speedy Gonzales o far leva sul suo orgoglio cantandogli qualcosa degli Inti Illimani o, al massimo, del Sergente Garcia o di Manu Chao, ma qui le cose iniziano a complicarsi. Non conosce nulla dei miei punti di riferimento musicali in spagnolo e, anzi, quando gli ho chiesto che musica gli piacesse non ha saputo rispondere, ma forse perché non ha capito la domanda.