Se cani e gatti non fossero le bestie che sono ma avessero la tempra per evolversi come siamo riusciti a fare noi, tra qualche secolo potrebbero studiare sui loro libri di scuola la nostra epoca contemporanea – i tempi di trasformazione digitale in cui viviamo e l’ossessività compulsiva con cui noi esseri umani usufruiamo dei social – come il loro umanesimo, che per ovvie ragioni non si chiamerà così ma canidesimo o felinesimo o chissà in quale altro modo. Senza contare che di certo non parleranno la nostra lingua, o magari saranno proprio le vocine ridicole e il lessico tutto vezzeggiativi, diminutivi e termini inventati con cui oggi noi esseri umani pretendiamo di avere un dialogo con i nostri animali domestici a influenzare lo sviluppo di un linguaggio tra cani e gatti e spero che, allora, l’umanità si sia già estinta per colpa della siccità, perché l’ultima cosa che vorrei è proprio che i nipoti dei miei nipoti possano assistere a cani e gatti che si esprimono in un idioma riconducibile al modo in cui ci rivolgiamo a loro mentre si strusciano per una scatoletta. Da sempre sostengo infatti che gli hacker russi, anziché ricattarci con video rubati grazie alle webcam di cui sono dotati i nostri portatili mentre guardiamo Pornhub, dovrebbero registrarci mentre parliamo da soli in casa ai nostri animali domestici per soddisfare le carenze di affetto e di considerazione in cui ci confinano i nostri simili.
I primi vent’anni degli anni duemila potranno quindi essere considerati una vera e propria età dell’oro a tutti gli effetti, per gli animali, in particolare proprio per cani e gatti ma non dimentichiamoci di panda, pipistrelli, lupi, cinghiali e tutti gli altri esseri viventi più selvatici per i quali creiamo laboriosi profili Instagram e TikTok, e sapete bene quanto sia time consuming starci dietro. D’altronde, basta non lavorare o non fare esercizio fisico che siamo pronti a qualsiasi passatempo. Ci sarà da qualche parte un registro o un file Excel universale dove sono conteggiate, con una funzione automatica, tutte le ore che perdiamo al computer o al telefonino per attività idiote (questo blog in primis), e che ci verrà mostrato quando saremo morti nell’aldilà che, a suo modo, non può che essere analogico.
E, tornando all’argomento di cui sopra, grazie ai social media sono infatti gli animali i veri protagonisti della nostra epoca, gli esseri viventi al centro dell’attenzione. Le conseguenze di questa folle idolatria, unite ai danni che gli algoritmi stanno provocando al nostro cervello, siamo certi che ribalteranno i piani della catena alimentare nel giro di qualche quarto di secolo e così i discendenti delle bestie che allietano le nostre solitudini digitali e che ci si addormentano in braccio sul divano – ma che fino a qualche decennio fa popolavano giustamente Autogrill, campagne suburbane e altri non luoghi ricettacolo del frutto di un senso delle priorità ad oggi considerato ampiamente superato – tra non molto avranno le loro ricorrenze (un giorno del ringraziamento per i primi cani che hanno espropriato il reparto cibi di un Arca Planet di periferia, o il primo gatto che ha cambiato la serratura dell’appartamento dei propri padroni) proprio grazie ai nostri canali Instagram e alle pagina acchiappaclic che divulgano le più bizzarre fake-notizie sul mondo a quattro zampe.
Ci saranno padri fondatori, eroi, semi-divinità e esseri umani da condannare per atrocità contro il genere felino, e probabilmente Jonathan Franzen sarà uno di questi. Secondo questo articolo pubblicato da “Rivista Studio”, Franzen, che è un appassionato osservatore di volatili, sostiene che “se lasciati liberi di scorrazzare, i gatti arrivano a uccidere tipo, tre o quattro uccelli al giorno” e pare che ne pensi peste e corna. Ai giorni nostri manifestare una scarsa sensibilità nei confronti di cani e gatti non è più ammesso, si rischia il linciaggio e, per gli scrittori, la damnatio memoriae. Franzen, quindi, sei avvertito.