Quindi, tanto quanto le schermaglie a chi ha l’ego più lungo tra Bugo e Morgan, anche Blanco che ha dato in escandescenze era tutta una messinscena. La seconda serata si apre allo stesso modo con cui il Festival ci aveva lasciato la sera prima: Gianni Morandi che scopa. La battuta sulle pillole che gli dà sua moglie, dopo quelle per l’ipertensione, aggiunge un quadruplo senso al doppio già scontato. La gara alle brutture non canore non finisce qui. La sofferenza del bambino tutto azzimato della fiction ricorda quei programmi di altri tempi quando ai minori imponevano la cravatta, un po’ come i piccoli fans in quella gag di Drive In. Poi è stata la volta delle cariatidi Albano, Morandi e Ranieri ed è stato tutto un bravi ma basta. Figli, anzi, nonni di un paese sempre rivolto all’indietro. L’unica speranza esaudita era che Ranieri cantasse “Se bruciasse la città”, vetta inarrivabile della canzone italiana, oppure che Albano intonasse i delfini che vanno a ballare sulle spiagge. Ma poi che senso ha presentarli tutti e tre insieme se poi cantano quasi tutto separatamente? Comunque, va avanti tutto liscio fino a un inatteso regalo. Parte Felicità di Albano e Romina Power.
Dove c’era Pelù oggi ci sono Nek e Renga con i cappotti di Piazza Italia, premesso che ho tanti amici che vestono Piazza Italia. D’altronde anche gli interpreti mediocri hanno diritto a cantare fino a quando avranno l’età di Albano. Su Fedez, come vedete, non spendo nemmeno una parola.
I Black-cosi-là senza Fergie non hanno ragione di esistere e suonano un repertorio moscissimo. Piuttosto, avrei invitato come ospiti gli Smiths. Per una volta, è il monologo a fare la differenza, ad abissale distanza da quello di ieri. Però poi si fa una certa e la gente vorrebbe andare a letto perché domani si torna tutti a lavorare. Prima del meritato riposo, finalmente, ecco i giudizi della serata.
Will: sguardo allampanato alla Ian Curtis, un pezzo che gli somiglia perché è stupido, appunto. L’ennesimo sangiovannese da scuola primaria o, come si dice, pop generazionale, ma io sono fieramente vecchio e mi fa cagare. Forse il miglior candidato ad arrivare ultimo. Anzi, ultimo solo dopo Ultimo.
Modà: parto prevenuto e confermo al termine della canzone che, in Italia, Jovanotti a parte, poche cose siano un insulto all’intelligenza come i Modà. “Mettici un bacio veleno con ghiaccio”. Il pezzo è tutto un’attesa di quando Kekko urla alla Negramaro. Tamarri senza gloria.
Sethu: lo pronunciano come se fosse una domanda. Sei tu? Ma no, non sono più io. Si presenta con una cuffia in testa a forma di capelli di Big Jim. Ha tutta la giacca strappata e i pantaloni a punta, ma in fondo è un blanchista come tutte le altri giovani promesse non mantenute della nuova musica di merda italiana che non vogliono prendersi la responsabilità di risultare personali.
Intanto sono le dieci e si sono esibiti solo quattro concorrenti, segnale che si faranno le ore piccole anche stasera.
Articolo 31: la narrazione è sempre la stessa. L’autobiografia dalla periferia in amicizia fino al successo e fino a quando si litiga e ci si lascia e ci rimette insieme per Sanremo. Che palle. Già non reggevo la retorica degli 883, figurati questi. E non è cambiato nulla, da allora. J-Ax sempre stonato, l’altro che fa finta di schiacciare qualche pulsante. Il risultato sfiora la sufficienza, ma solo perché mi hanno preso per sfinimento.
Lazza: comincia come un pezzo di Moby e continua ancora meglio. Ottima produzione, solito rap trito e ritrito ma al momento è la canzone più interessante, al netto dei tatuaggi sulla faccia.
Giorgia: mamma mia, quanta inutilità. Che brutto essere interpreti così brave di canzoni così insignificanti
Colapesce e Di Martino: superlativa, non vincerà ma venderà tantissimo (io però faccio il tifo per loro)
Shari don’t like it, dev’essere la tipa dei Flintstones a giudicare da come è vestita tutta a macchie con l’aggravante che ci manda affanculo. Canzoncina per niente brutta, in quota grazie mille e emozionatissima.
Madame in stivali da pesca, non proprio a suo agio con il vestito. Pezzo originale anche se una tacca sotto rispetto a doveseifinitoamore del 2021. In quota logopedista, con l’incedere tunza tunza il suo songwriting ci perde, altrettanto il flow. Da alta classifica, comunque.
Levante: niente male il colpo d’occhio, la versione femminile di Mengoni in pelle. La base electro spacca, il testo un po’ meno. Ma lei mi sembra un po’ esaurita, quasi più di Anna Oxa.
Tananai: mi spiace, mi sono addormentato. Dice mia moglie che non è stata niente male ma non le credo
Rosa Chemical: anch’io ne avrei evitato l’esibizione, ma solo per risparmiarci un po’ di musica di merda, e poi la giacca strappata e rattoppata con gli spilloni l’abbiamo già vista addosso a qualcun altro. In quota alle canzoncine movimentate con balletto, a metà tra Achille Lauro, la scimmia nuda balla e Elio e le Storie Tese. Di sicuro, fonte di ispirazione per le polemiche di domani.
LDA: mai sentito nominare, ma sono un boomer. Poi scopro che è figlio di Gigi D’Alessio e questo spiega tutto. Probabilmente l’unica ballad terzinata del festival, per di più penalizzata da problemi tecnici. Ne avremmo fatto volentieri a meno.
Con Paola e Chiara vestite a specchio con tutta una roba sberlucciante in faccia sembra che il tempo si sia fermato agli anni novanta. Invece è già quasi l’una, e dopo l’ennesimo pezzo imbarazzante finalmente posso lavarmi i denti e andare a nanna. Se domani non salto la terza serata è solo per Paola Egonu.