Ci sono persone che hanno il dono di ricavare della melodia anche da rumori che non ricondurresti mai alla musica intesa come bellezza o arte che ci fa stare bene, e mi riferisco a cose come le sirene delle ambulanze che sfrecciano in strada con quel fenomeno acustico per cui, allontanandosi, scendono di un semitono o il bip bip bip delle apparecchiature di monitoraggio che si trovano negli ospedali. Ricordo invece la frenetica cassa dritta del battito del cuore che si percepisce durante un’ecografia e quanto mi sia sembrata più verosimile alla vita quell’involontaria techno rispetto alle immagini di ciò che l’ecografo – che erroneamente avevo definito scanner per deformazione professionale, facevo il copy in un’agenzia di comunicazione e lavoravo a stretto contatto con i grafici che, per digitalizzare la carta, ne facevano ancora ampio utilizzo – trasmetteva sul monitor. Una massa informe di pixel in movimento e in scala di grigio in cui avremmo potuto distinguere il naso, le braccine, i piedini e persino l’eventuale pistolino che poi non c’era perché si trattava di una bambina. Dicevamo di sì e sorridevamo come quelli che fanno finta di capire le battute e ci fidavamo di quello che sosteneva il dottore perché l’importante era che tutto andasse per il meglio. Ma stiamo parlando di quasi vent’anni fa. Chissà oggi, con la realtà virtuale, com’è migliorata l’esperienza di gravidanza degli aspiranti genitori.
Nel lontano 2004 avemmo la fortuna di avere una ecografia in 3D su videocassetta dove era facilissimo riconoscere volto e arti. Filmato che poi riversai su file e che ancora ho. L’emozione fu molto grande, sì.