Sono a casa, la scuola è chiusa, ma sui ponteggi che circondano il mio appartamento e gli altri del condominio si lavora di gran lena. Ci sono gli operai che ci danno dentro con i lavori del bonus 110. Avvitano pannelli di materiale termoisolante all’intelaiatura di acciaio con cui hanno rivestito i muri esterni, dopo aver ricoperto l’intera superficie con un telo argentato di cui ignoro le proprietà. Fuori fa freddo, non come i giorni scorsi ma comunque fa freddo, e io sono in salotto a scrivere sul pc con la gatta in braccio e l’albero di natale con le lucine accese. In questo momento i carpentieri sono proprio sul mio balcone e su quello del mio vicino. Li vedo camminare avanti e indietro. Si parlano in arabo, si passano pezzi di non so che cosa sagomati e si sente il rumore del trapano che, quando cessa, lascia il posto al tonfo di qualcosa di metallico. Il project manager ci ha avvisato: non uscite sul balcone perché è considerato cantiere a tutti gli effetti e, in caso di incidente, non siamo coperti dall’assicurazione. Si tratta della seconda impresa che si è avvicendata per il compimento dei lavori. Quelli di prima – che sono stati sostituiti perché si sono allagati un paio di appartamenti al quarto piano – erano tutti egiziani e, ogni tanto, bussavano alle finestre a chiedere un po’ d’acqua o un caffè, che bevevano con almeno quattro cucchiaini di zucchero. I nuovi sembrano più professionali, o più timidi, o qualcuno del palazzo si è lamentato. Tengo gli occhi su quello che scrivo e non oso osservarli mentre lavorano perché mi sento in colpa. Sono in festa mentre per loro è un giorno come gli altri. Provo la stessa sensazione quando sono in casa mentre c’è la signora che ci aiuta nei lavori domestici. Quest’anno mi capita di meno perché i suoi orari coincidono con un mio pomeriggio in servizio, e quando rientro lei se n’è andata da poco. La sensazione di aprire la porta e sentire il profumo di pulito della propria coscienza non ha confronti.