I bambini dicono un mucchio di stronzate. Si avvicinano alla cattedra e condividono i loro aneddoti sgrammaticati lunghi ore, senza capo né coda, e il fatto che molto spesso non si capisca una parola – il massimo è quando si voltano verso i compagni per parlare con me, dimenticando che sono vecchio e sordo e , soprattutto, che mi trovo dalla parte opposta rispetto quella a cui si stanno rivolgendo – è il minore dei problemi. Poi però suona la campanella, torno nel mondo degli adulti, e mi rendo conto che tutto sommato quelle conversazioni surreali che sono una componente fondamentale del mio lavoro sono decisamente più avvincenti dei dialoghi a cui mi trovo esposto. Il fatto è che nutrirsi di letteratura e di cinema/fiction ti trasporta in un mondo delle idee popolato da batti e ribatti che hanno avuto tutto il tempo di essere scritti e rimaneggiati per filare lisci e limare ogni ridondanza. Ne abbiamo parlato al corso di scrittura creativa che sto seguendo e che, anzi, ormai è agli sgoccioli. Abbiamo imparato che il dialogo fa andare avanti la storia, aiuta a veicolare le informazioni, descrive i personaggi e ne descrive le relazioni e i rapporti di forza. La vita, lo saprete meglio di me, è invece un’altra cosa. Un buon esercizio per acquisire questa consapevolezza consiste nel registrarvi mentre discorrete con il vicino avviandovi dai box all’ascensore quando rientrate dal supermercato con le borse piene di spesa, le chiacchiere di circostanza con cui vi intrattenete con la mamma con i due bambini al seguito alla fermata della 60 che non passa da venti minuti e la pensilina non è sufficiente a tenere al riparo dal diluvio universale tutte le persone in attesa, la duecentesima volta in cui il parente ottuagenario vi racconta di quella volta che ha attraversato il Mincio mentre emigrava a Milano dopo la guerra ma i ponti erano stati tutti bombardati. Se questa vi sembra una pratica oltre le vostre possibilità, reperite da qualche parte la finale di X Factor, trascrivete i commenti dei giudici alle esibizioni dei concorrenti e traete voi delle conclusioni, sempre che l’enfasi superflua esondata dallo schermo non vi abbia nel frattempo allagato la casa e mandato in corto circuito l’impianto elettrico. C’è anche lo spot dell’apparecchio tv di Sky che imperversa tra i programmi da qualche settimana che rende perfettamente l’idea di quello che è bene non dirsi tra persone normali, o almeno se si vuole risultare minimamente interessanti al resto dell’umanità. Ecco, a me basterebbe essere abbastanza ricco da pagare i protagonisti di quella pubblicità per imporre il ritiro e l’oblio di una tale performance che, ogni volta che passa, mi fa vergognare per loro. Sono piccole cose, ma anche un grande passo per il genere umano.