Sono entrato in classe alla terza ora e sono rimasto a bocca aperta. Nemmeno ai tempi più duri del Covid mi sono trovato al cospetto di una scolaresca così sguarnita. Erano in dieci su diciannove. Poi Sandy è andata a casa per pranzo, Cecilia ha vomitato dopo la mensa (in cui ha passato il tempo addosso a Jasmin, tossendole più volte in faccia e con il fazzoletto sempre in mano, pronto a tamponarsi il naso sgocciolante, segno che domani i presenti saranno ancora meno, potete starne certi), così ho fatto avvisare i nonni. Infine, come se non bastasse, Anna è uscita alle 14.30 per una visita medica. Ho deciso di fare finta che, anziché essere una classe ridotta, fossimo una famiglia numerosa. Un papà con sette figli. Ho corretto i compiti del finesettimana e poi ho detto che non c’era occasione migliore di quella per farsi avanti per tornare su argomenti poco chiari, a partire dalle divisioni con il divisore a due cifre e il metodo del numero fortunato. Terminato il lavoro, mancava poco meno di un’ora alla fine. Ho preso qualche foglio e ho proposto un bell’allenamento con il compasso, quello di disegnare le palline di natale di carta da colorare con i pennarelli e appicciare sulla silhouette dell’albero che traccerò con lo scotch di carta sulla porta verde dell’aula. Ho messo un bel disco su Spotify al pc di classe – il nuovo ellepì di Santigold – e ho visualizzato sulla LIM qualche fantasia da riprodurre. L’atmosfera era surreale, per una scuola primaria. Hanno lavorato con impegno e nella massima serenità. Alcuni muovevano la testa a tempo con il ritmo, qualcuno faceva i versi alle canzoni facendo ridere gli altri, ma nell’insieme c’era un silenzio e una calma anomala rispetto agli standard a cui siamo abituati. Io ho girellato tra i banchi, ho addirittura indossato una FFP2 perché non si sa mai, anche se ho già fatto la quarta dose per l’influenza che c’è in giro sono ancora vulnerabile. Poi mi sono messo dietro a tutti, nell’ultima fila, seduto su un banco. Qualcuno si è girato a vedere che cosa facessi. Stavo lì a giocare a fare il bambino come loro, a cercare di ricordare cosa si prova, a pensare se ci fosse qualche motivo per chiedere alla mamma, il giorno dopo, di stare a casa, tanto in classe non c’è quasi nessuno.