Immagino che nessuno di voi abbia colto la differenza ma sto frequentando un corso di scrittura creativa. La scrittura creativa è un’esperienza che volevo provare da un po’ e ce ne sono anche altre, a partire dallo psicanalista fino a comprare un modello di bici a metà tra la city bike e la mountain, considerando che non mi lancio tutto imbragato giù dai sentieri ma qualche sterrato, nei parchi della zona, è facile trovarselo lungo i percorsi delle scampagnate della domenica.
Che l’essere egoriferito sia il trait d’union di queste cose – scrittura creativa, psicanalisi e bicicletta – è fuori discussione, ma tra tutte il corso di scrittura creativa, cioè un metodo per imparare finalmente a scrivere storie di più ampio respiro e con un inizio e una fine e non queste minchiate tutte uguali che pubblico qui sopra, credo che possa aiutarmi a uscire fuori da me stesso e apprezzare anche il resto del mondo.
Che poi non è che qui dentro sia tutto rosa e fiori, anzi. Dopo più di mezzo secolo di clausura nel proprio corpo e nella propria mente uno ne ha anche i coglioni pieni di sé, e vi assicuro che se potessi cambiarmi con un modello diverso non ci penserei due volte. Condividere con se stessi per tutta una vita le stesse considerazioni, le solite reazioni e le consuete dinamiche a seguito di ogni input da fuori è una vera scocciatura, per non parlare di vedersi tutte le mattine la stessa faccia allo specchio.
La scelta di quale corso di scrittura creativa frequentare non è semplice perché l’offerta è vastissima. Il mercato è saturo, d’altronde purtroppo il mestiere dello scrittore non è un mestiere, nel senso che non è un lavoro fisso e non c’è uno stipendio anche perché non è una vera professione, quindi chi sceglie di mantenersi con i suoi romanzi finisce che deve inventarsi mille espedienti per arrivare a fine mese, e insegnare scrittura creativa è uno di questi. Io mi sono affidato al buon senso e mi sono rivolto alla scuola che credo sia quella più in voga, quindi il meglio, e dopo qualche lezione ho già capito diverse cose della scrittura e del mio rapporto con essa. La formula del corso è di per sé ottima perché permette a me e ai miei compagni di classe di misurarci tra di noi, aspiranti narratori. Voglio dire, io mi sento una merda se oso mettere a confronto i miei racconti con quelli di Carver, giochiamo un campionato diverso in cui lui è al primo posto della classifica della massima serie e io uso da ubriaco la versione craccata di FIFA 93. Un corso di scrittura creativa consente invece di rendersi conto di chi sono le persone che hanno le tue stesse velleità e sentirsi una merda comunque. Quando ci mettiamo alla prova durante le lezioni (chi tiene il corso ci assegna un tema e il tempo che abbiamo a disposizione, che è una pratica che trovo crudele) e poi gli altri leggono i loro elaborati – siamo una ventina in tutto – mi rendo conto che paragonati ai miei sono dei best seller. Anche i più banali esercizi in cui dobbiamo buttare giù un incipit da un quadro (Hopper va per la maggiore) mi mandano in tilt e i risultati sono pessimi, mentre i miei compagni producono attacchi che ti viene voglia subito di sapere come vanno avanti.
Vado dritto al punto, e cioè che sono un cane a scrivere, ed evito di ricondurre questa mia totale inadeguatezza all’insegnante che non è in linea con i miei gusti letterari e forse è un po’ mainstream rispetto a ciò che leggo. Ha esordito con un brano dell’autore italiano che schifo di più – che per giunta è uno dei fondatori di quella scuola – e sostiene che l’uso del tempo presente nelle storie sia banale, molto limitativo e un po’ un cliché di quelli che vogliono sembrare a tutti costi degli sperimentatori letterari. Questa cosa del tempo verbale nelle storie mi ha fatto molto ricredere sulle mie potenzialità. Il fatto è che il passato remoto è bellissimo ed è il tempo della grande letteratura e dei capolavori della narrativa. Non a caso, a parte in qualche anacronistica ostinazione campanilista, nessuno lo usa quando si esprime a voce. Quando provo a scrivere qualcosa e uso il passato remoto mi vedo davvero poco credibile, uno che piscia fuori dal vaso, uno che si dà delle arie ma poi fa errori di grammatica da prima elementare. Poi l’insegnante cita autori che non ho mai letto mentre i miei preferiti, al momento, risultano non pervenuti. Ma questo non è un problema, anzi. Sono contento di imparare delle cose nuove e, per di più, da un punto di vista differente rispetto al mio metro quadro abitato da musica discutibile e autori americani contemporanei. E per giustificare quanto sia scarso, non mi nasconderò dietro il fatto che ho scritto per lavoro per vent’anni nel settore della comunicazione e del marketing e che è uno stile che, comunque, ti forgia in un certo modo che non è detto che vada bene per altre cose.
Per non parlare di questo blog, che curo da altrettanto tempo. Che poi non è nemmeno un blog, non se lo incula nessuno, nessuno commenta, nessuno interagisce, niente di niente. Nei blog uno dovrebbe scrivere cose che interessano i lettori, invece alla fine io scrivo solo cose che interessano a me. Quando non mi ricordo come è andato questo o quell’episodio lo cerco qui e me lo ripasso per vedere, sempre con quel me stesso con cui convivo quotidianamente e che si è iscritto insieme a me al corso di scrittura creativa (ma poi ho pagato solo io quindi è anche uno scroccone), se nel frattempo è cambiato qualcosa. Ma, per concludere, come potete immaginare, non è cambiato nulla. Non è nemmeno un blog, questo, piuttosto è un diario dei ricordi, come quelli che le persone tengono nel cassetto del comò ma qui faccio prima, non perdo i file come potrebbe accadermi se usassi Word e salvassi tutto sul mio pc e poi c’è anche la comodità di WordPress, che è un content management system coi fiocchi.
Mi piace il presente, mi piace il passato prossimo e adoro l’imperfetto forse proprio perché si chiama imperfetto. Il mio insegnante di scrittura creativa dice che un esercizio che possiamo fare è scrivere al passato remoto e poi tradurre tutto con il tempo presente, perché se si parte subito con il presente alla fine uno scrive frasi brevi. Usa la punteggiatura come vezzo. Così come sto facendo io ora. Invece, quando scrissi quel romanzo al passato remoto, riempii fogli di paragrafi lunghissimi ricchi di coordinate e subordinate, e poi rilessi quanto avevo annotato e mi piacque così tanto che mi comprai una penna in in piuma d’oca e un calamaio in cristallo di Boemia. Insomma, al passato remoto proprio non mi ci vedo ma perché non sono capace. Ma nemmeno come scrittore mi ci vedo, non sono proprio in grado. Ma se qualcuno ha voglia di fare cambio, nel senso di scambiare il suo se stesso con il mio me stesso anche solo per fare una prova, fatemi sapere.
Dopo anni, io continuo a leggerti con piacere.
Solo per dirti che non è vero che nessuno ti legge. Io lo faccio tutti i giorni da anni e prima ti ascoltavo pure. Tu nel frattempo hai cambiato tante cose, io quasi nessuna. E dunque stai già messo moooooolto meglio di me.
grazie, davvero
grazie di cuore