male di stagione

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Passati in silenzio i quattro mesi della vacanza dei docenti, l’impatto con il palco della scuola è quasi sempre letale. A metà ottobre gli insegnanti sono afoni o lamentano il mal di gola oppure calibrano il proprio tono di voce sulle frequenze di Barry White che è perfetto per certe tecniche di seduzione anni 70 ma se devi spiegare le proprietà dell’addizione corri il rischio che sia controproducente. Un paio d’anni fa qualcuno aveva organizzato, presso la mia scuola, un efficace corso sull’uso della voce e da allora non passa occasione in cui manifesti il mio rimpianto per non essermi iscritto in tempo.

La voce è il nostro principale strumento di lavoro e un suo impiego scorretto ci mette in condizione di consumarla molto prima del periodo di tempo in cui è business critical averla funzionante. Io non pretendo tanto, diciamo che mi piacerebbe tirare almeno fino a Natale per poi avere quella quindicina di giorni per mettere a riposo l’apparato fonatorio. Invece va a finire sempre così. A ottobre non sai come vestirti, le finestre aperte dell’aula danno il colpo di grazia specie quando rientri sudato dopo l’intervallo lungo trascorso sotto il sole, e via con i primi starnuti.

Da questo punto di vista, noi insegnanti siamo come gli attori. Anche la gestualità è importante e aiuta a potenziare il significato della parola. Quando osservo i divulgatori alla tele cerco di lasciarmi trasmettere il modo in cui tengono le mani e accompagnano con i loro movimenti le cose che dicono. C’è una consonanza – a volte sin troppo impostata – e si vede che è frutto di un genere di studi la cui matrice può essere ricondotta a quella stessa tradizione teatrale italiana che fa sì che i nostri attori siano dei cani, la nostra fiction una merda e i dialoghi una sequenza di banalità difficili da cogliere, peraltro, complice quell’inqualificabile stile di dizione inutilmente sospirata e dialettale che si tramanda di generazione in generazione.

Per fortuna, quando sono in classe e Carmen mi interrompe in continuazione perché le sanguina un dentino, difficilmente riesco a concentrarmi sulla performance, così nel bene e nel male torno a essere me stesso, un ciarlatano prestato alla didattica. Qualcuno mi ha suggerito di riprendermi con una telecamera, mentre spiego, ma non ha mai visto come è fatta una classe. I guru della comunicazione dicono addirittura di non farsi vedere troppo dinoccolati perché si trasmette insicurezza di sé. Se è così, ho capito perché appena mi giro verso la LIM scoppia il finimondo. Torno a voltarmi verso di loro, alzo i toni per ricatturare l’attenzione ed è a quel punto che la mia ugola si ribella. Sento pizzicare dentro al collo e capisco che, anche per quest’anno, ottobre mi vedrà baritono.

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