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Poche cose inducono alla tristezza come stendere gli indumenti indossati durante il viaggio da cui siamo appena tornati e messi a lavare per l’ultima volta, prima di riporli asciutti nel contenitore Ikea trasparente che va sul ripiano più alto dell’armadio, quello dedicato all’abbigliamento stagionale che si utilizza per poche settimane all’anno e che, per questo, è destinato alla collocazione più scomoda. Non solo perché si tratta di capi che mettiamo esclusivamente in viaggio, e il fatto che quando partiamo per le vacanze ci vestiamo decisamente peggio rispetto ai nostri standard non c’entra o comunque non è questo aspetto a cui mi riferisco. L’ultima lavatrice degli abiti estivi al rientro in città sancisce la fine delle ferie e il ritorno al lavoro almeno nello spirito e nell’umore, e a nulla serve il fatto che siamo ancora nel pieno della stagione più torrida della storia dell’umanità e basterebbe organizzarsi con qualche weekend per prolungare di qualche giorno la sensazione di vacanza. L’estate, al ritorno, è un capitolo chiuso. Lo stendino trabocca di top colorati e shorts sistemati in file ordinate, improbabili bermuda che si alternano a pareo e prendisole, i costumi e i teli in microfibra dai toni fluo, le t-shirt da campeggio. Il tempo di asciugarsi – con il caldo che fa è questione di qualche ora – e poi tutto sarà inghiottito dall’autunno, dal primo collegio docenti, dal conto alla rovescia verso le vacanze di Natale con, in mezzo, i risotti alla zucca, il foliage, l’uva, le cavallette sul balcone, le iscrizioni ai corsi che abbandoneremo prima della fine dell’anno. Suona già la sveglia alla sei del mattino, quando è ancora buio. Stesso trattamento per la cena, il telegiornale si avvia ai titoli di coda mentre una luce accesa torna a essere necessaria. La cosa strana è che è un ciclo che ritorna puntuale uguale come l’anno prima, eppure non finiamo mai di sorprenderci.

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