C’è solo una cosa più sconveniente del mantenere rapporti e contatti virtuali con persone che non la pensano come te in politica, ed è frequentare gruppi Facebook di collezionisti di dischi. Gente che si compra ottanta versioni dello stesso ellepì solo perché ciascuna ha la copertina di una tonalità di blu leggermente differente a seconda della nazionalità di pubblicazione o dell’anno di ristampa o chissà quale altra trovata per allocchi. Se non mi credete, vi sfido a iscrivervi e a farvi un’idea.
L’aspetto più irrazionale di questo comportamento, al netto dei soldi buttati via, è il tempo che richiede poi l’ascolto di tutto il materiale accumulato, senza contare che solo una sega mentale senza precedenti consente di rilevare differenze tra l’una e l’altra copia. E questo ve lo dice uno che, nel suo piccolo, si dà comunque abbastanza da fare. Fondamentalmente compro solo i dischi che mi piacciono ma attenzione, non mi arrogo la superiorità morale rispetto alla deriva ossessivo-compulsiva di cui sopra, ci mancherebbe. Non sono migliore di nessuno. Tanto meno quando acquisto acriticamente qualunque cosa un artista o una band a cui sono particolarmente affezionato pubblichi, ma non più di una release ad articolo. Tra questi, come potete immaginare, considerando l’oggetto di questa recensione, ci sono le Warpaint. Ma cosa c’entra, direte voi, tutto questo con il loro nuovo disco e con il fatto che è facile desumere che l’ho prenotato a scatola chiusa appena ne ho avuto notizia, qualche mese fa.
Vengo quindi al punto. Di base sono ossessionato dalle voci femminili perché il piacere erotico che mi dà in genere la voce femminile non ha eguali. Ha delle frequenze che mi entrano dentro l’orecchio e mi toccano cervello e anima come nessun altro impulso. Molto meglio di vista, gusto, tatto e olfatto. Questo non necessariamente solo nella musica. Da quando sono nato, in famiglia, a scuola e nel lavoro ho avuto la fortuna di riuscire a circondarmi di donne (e il caso mi ha sempre premiato), il cui timbro vocale e la cui parlata da sempre mi appaga i sensi in un modo che non ha mai rischiato eguali.
Potete quindi capire, da fanatico di musica, da essere vivente sensibile in prima istanza in quanto felice proprietario, amministratore e utente di un apparato uditivo (un vero hi-fi a tutti gli effetti) a cui spero di non dover mai rinunciare, potete quindi capire, dicevo, la potenzialità di tutto questo unita al rock. La transustanziazione della voce femminile, che prende corpo nella forma-canzone grazie ai generi musicali che mi piacciono di più, mi permette di raggiungere vette di piacere imparagonabili. Figuriamoci, poi, se insieme alla cantante ci sono pure delle musiciste che la accompagnano. La voce corredata da strumentiste che ne confezionano la resa al meglio, a tutto vantaggio del mio piacere più intimo. Un’orgia di suono. Le Warpaint sono donne e suonano la mia musica preferita. Non chiedo altro. Il quadro ora è completo.
Il fatto è che “Radiate like this” è piombato nella mia vita insieme ad altre tre o quattro nuove uscite di cantanti, interpreti o band guidate da donne – una di queste, per giunta, era la nuova raccolta solista di singoli di Jenny Lee Lindberg, il basso delle Warpaint, uscita in occasione del Record Store Day, pensate che formidabile corto circuito – e la cosa mi ha mandato completamente in tilt.
Perché le Warpaint sono un posto a sé, un’esperienza totale in cui vivere, crescere, viaggiare, credo persino morire, ma non vorrei sembrarvi esagerato o patetico perché, in quei gruppi Facebook di collezionisti di dischi a cui ho fatto cenno sopra, questi toni così enfatici si riservano solo alle pop e rock star trite e ritrite che prestano la loro faccia alle più blasonate enciclopedie, ai trattati di storia della musica o nei meme al servizio di aforismi da tanto al mucchio. Ma i gusti sono gusti, non sono il primo a sostenerlo.
La mia paura è stata, quindi, quella di non riuscire a dedicare l’attenzione che “Radiate like this” richiedesse. Di non essere all’altezza delle Warpaint, questa volta. Di non aver il tempo materiale per lasciarmi permeare da quello che – non avevo dubbi – avrebbe costituito una nuova pietra miliare della mia vita. Di trascurare un rito di cui sono cultore e schiavo e della perdita della ragione che ne sarebbe conseguita. Poi ho trovato la chiave e finalmente sono tornato in armonia nell’esperienza Warpaint. Bastava avere un po’ di pazienza. E ora sono in balia totale delle Warpaint. Se volete vi descrivo brano per brano quello che provo, ma tanto potete comprenderlo da soli e non voglio annoiarvi più del dovuto. Come tutti i dischi delle Warpaint, “Radiate like this” è il disco migliore delle Warpaint. Come tutti i dischi delle Warpaint è il più riuscito, il più maturo, quello della svolta, quello in linea con la tradizione, quello della consacrazione, quello della gloria eterna. Quello che speriamo ne esca un altro presto e che non lascino passare così tanto tempo come tra il penultimo e l’ultimo.
Lasciatemi qui, a chiudermi dentro i dischi delle Warpaint e a gettare la chiave, non chiedo altro. Anche in “Radiate like this” trovo la voce e il suono di mia madre, di mia moglie, di mia figlia, di mia nonna, della mia maestra delle elementari, delle altre donne a cui mi sono legato o che ho frequentato nel tempo. Ci trovo certe intuizioni melodiche che, probabilmente, qualche sinapsi o qualche reazione chimica in fase di sviluppo ha eletto ad archetipo di qualche emozione primordiale che non saprei spiegare, che si rinnova in modo sempre diverso ma sempre fortemente suggestivo e di cui, molto probabilmente, a voi non interessa nulla. Ma, se posso permettermi un consiglio, provate ad ascoltare questo disco. Si chiama “Radiate like this” ed è il nuovo disco delle Warpaint. Non c’è molto altro da aggiungere.