Una delle cose belle quando giri per concessionari a raccogliere preventivi di auto – che poi non ti potrai mai permettere, anzi parlo per me, che poi non mi potrò mai permettere – è imparare i nomi dei colori dei nuovi modelli. Un’operazione di marketing emozionale che non ha eguali. Non so chi sia l’inventore di sfumature come il Chalk White, o il Lake Silver, oppure il Dark Knight, o ancora il Phantom Black, per non parlare del Tangerine Comet, dell’Acid Yellow. E poi il Pulse Red, il Blue Lagoon, il Velvet Dune, il Ceramic Blue, il Galaxy Grey, l’Ignite Flame, l’Atlas White, il Dive in Jeju, il Cyber Grey, il Surfy Blue, il Misty Jungle, l’Engine Red, il Shimmering Silver, il Teal, il Silky Bronze, il Sunset Red, fino al Serenity White.
Poi scopri che, di fronte ad acquirenti poco abbienti come il sottoscritto, è meglio trasmettere la sensazione dei colori più complessi con i classici canna di fucile e carta da zucchero. Un venditore mi ha prospettato anche la possibilità di una pronta consegna – saprete meglio di me che per acquistare un’auto nuova ci vogliono tempi che nemmeno nell’ex URSS – ma di colore grigio guardia di finanza. Una bella metafora perché rende velocemente l’idea della tonalità in questione e, a quelli della mia generazione, crea un link diretto con l’insipido blu polizia di un giorno di pioggia, in auto con i Subsonica del 97.
E la cosa buffa è che incrocio, ogni mattina, una Fiat Panda proprio di quel colore lì che riporta, dietro, una vistosissima pubblicità di un’impresa di sicurezza privata dal naming e dall’iconografia oltremodo nazifasci. Ma non mi sento affatto ferito nell’orgoglio perché, proprio grazie a mesi di benchmarking, ora sono il fortunato proprietario una macchina nuova che è talmente moderna che, al momento, ritengo forse il miglior ambiente in cui mi piace vivere dopo il divano della sala, ma solo perché è ubicato di fronte al mio impianto stereo e contestuale collezione di trentatré giri.
Si tratta di un’auto pazzesca – il colore è un banale blu notte ma era l’unica disponibile in tempi rapidi – dotata di una sua intelligenza di molto superiore alla mia e a quella di svariate persone che conosco. Frena e accelera quando è più necessario. L’abitacolo è dotato di un micro-climatizzatore che si può programmare per ogni passeggero. Appena mi avvicino sblocca le portiere e si connette con il mio smartphone. I sedili si riscaldano o si raffreddano a seconda del bisogno e luci si accendono e si spengono come cazzo vogliono loro, seguite a ruota da tergicristalli così sensibili che partono in autonomia appena c’è un goccio di pioggia.
Quando si ferma non fa nessun rumore, così mentre sono in coda al volante guardo dietro. Lo spazio a disposizione mi rassicura così tanto che fa emergere la mia ossessione per le case piccole, la stessa che mi fa da sempre desiderare di vivere in un camper ma non uno di quelli giganteschi. Mi basterebbe anche un furgone con dietro una customizzazione utile a dormirci. C’è una cosa che mi fa venire i brividi e ora ve la racconto. C’è un punto di confine tra Italia e Francia, una strada sulle Alpi che si apre su uno spiazzo in mezzo a monti brulli, che vado a sbirciare con Google Street View quando ho voglia di staccare dalla routine. Così, quando sono in auto e mi volto ad ammirare quella che potrebbe essere una vera e propria mini casa mobile, immagino di fermarmi in quel parcheggio sui monti, abbattere i sedili posteriori e sdraiarmi lì su un materasso per passare la notte e attendere l’alba. Poi però è subito il momento di ripartire. Basta premere con dolcezza l’acceleratore – la mia nuova auto ha il cambio automatico – per riaccendere il motore e riprendere il viaggio, lo stesso viaggio di ogni giorno.