La mia collega ha lo stesso timbro di voce di Lilly Gruber. In più parla proprio come lei, con le stesse cadenze e rispettando i ritmi e tempi della conduttrice de La7. Quando facciamo il passaggio di consegne in classe, tra un turno e il successivo, senza farmi vedere chiudo gli occhi e immagino di essere un opinionista di “Otto e mezzo” a cui è stato richiesto il parere su Carletto che non ha giustificato, sul PDP di Nicolò o sul comportamento della mamma di Lorenzo che continua a tenere il figlio a casa con il raffreddore. Questo in condizioni normali. Come tutti gli insegnanti, però, è pronta a farsi sentire se c’è qualcosa che non va. Nella sua voce l’aumento di volume coincide con la discesa della sorgente sonora giù per il collo, non so se mi spiego, un fenomeno probabilmente dovuto a un uso scorretto dell’apparato fonatorio e a una errata respirazione. Invidio molto, invece, i colleghi che sanno mantenere toni molto bassi per costringere i propri alunni a fare silenzio. A volte ci provo, con i miei, ma non sono credibile. Ci sono corsi dove si possono imparare le tecniche migliori per la gestione della voce in classe. Il primo anno ricordo che a metà ottobre ero pressoché afono. In più, venendo da un lavoro in cui trascorrevo otto ore al giorno in silenzio al computer – anche perché ci sarebbe stato ben poco da dire – ho faticato ad abituarmi a non andare in iperventilazione. Una volta ho assistito a una lezione in cui l’insegnante usava un piccolo ampli agganciato alla cintura e un microfono, forse la soluzione più adeguata a spiegare senza farsi venire mal di gola. Ci sono poi docenti che urlano e basta, ma secondo me i loro alunni, alla fine, si abituano e dopo un po’ non ci fanno più caso.