Lo storytelling dei Tuc potrebbe ampiamente affondare le sue radici nella nostra tradizione, anziché ridurre l’esperienza di prodotto a dei bamboccioni scansafatiche che perdono tempo in divertimenti di dubbia efficacia. Pensate a quante volte li abbiamo acquistati nei distributori automatici o ai bar delle stazioni ferroviarie, prima di metterci in viaggio. E quanta sete abbiamo sopportato per aver dimenticato che, con dei cracker così salati, sempre meglio non lesinare nelle scorte d’acqua. Ah, le carrozze ferroviarie di seconda e terza classe di una volta. I treni locali in legno, così romantici, con tutte quelle fermate inutili e quelle ore passate a guardare il paesaggio scorrere veloce (per modo di dire) al finestrino sgranocchiando Tuc e facendo briciole in attesa della destinazione. C’entra poco o nulla, ma ho notato che il tempo con cui ci si alza dal sedile e ci si prepara alla propria fermata è direttamente proporzionale alla propria età anagrafica.
Ma non c’è solo il treno. Mia nonna non saliva mai in auto senza una scorta di Tuc in grado di sostenerla lungo la distanza che la separava dal paesello natio. In realtà pativa la guida di mio papà – suo figlio – che la scarrozzava e aver qualcosa di asciutto (nonché sfizioso) con cui limitare la nausea dovuta ai tornanti le consentiva di giungere a destinazione senza soste.
Quelli della Tuc quindi dovrebbero sincerarsi di quanti lo comprano per tenerselo in casa e quanti, invece, se ne approvvigionano esclusivamente dal carrello delle bibite a bordo degli Intercity. Io, a naso, direi più la seconda, perché se ne compro una confezione da tenere in dispensa non arriva sana e salva a sera. E se gli ingredienti del prodotto sono chiari sulla confezione, quelli della storia sono un mix poco comprensibile. La bandiera, i tre amici, la noia chiusi in casa – siamo ancora in lockdown? – e i diversivi poco credibili. Meglio un vagone di altri tempi, una nonna con i nipotini, un viaggio attraverso il passato, una confezione di cracker salati e tante, tante bottigliette d’acqua nella strada che ci porta alle vacanze estive in un paesino di riviera lungo quella ferrovia che, un tempo, scorreva a ridosso degli scogli.