Christian mi ha chiesto se non esista una festa dell’uomo. Gli ho risposto, tra il serio e il faceto, che la festa dell’uomo si celebra più o meno ogni giorno. Anzi, si celebra ogni ora a partire dal momento in cui tua mamma ti sveglia, ti prepara la colazione, ti dispone sul letto i vestiti che ti ha stirato lo scorso weekend, ti aiuta a mettere sulle spalle la cartella che molto probabilmente ti ha preparato lei, ti accompagna a scuola e, chiusi i cancelli, mette in moto l’auto per iniziare la sua seconda giornata di lavoro compressa in una, che lascerà a sera per cominciare la terza e così via, a seconda delle possibilità economiche e delle condizioni di ciascuna. E, già che c’ero, ho banalizzato ancora un po’ la questione ma, sapete, i bambini, veri paladini del pensiero letterale, non se la cavano molto bene con l’ironia e tanto meno con le metafore. Ho detto che se al posto di Putin e di quell’altro ci fossero due donne di certo non ci sarebbe una guerra in corso e di pensarci, quando lui e i suoi amici si superano e si danno gli spintoni in fila per il bagno e tutte le altre volte in cui cercano di risolvere le cose con la prevaricazione e non con il dialogo. Poi ho guardato le mie alunne – ho una smaccata preferenza per loro, ma non lo dico a nessuno – e ho cercato di immaginare un posto dove incontrarle insieme a tutte le altre donne che conosco, del presente e del passato. Mia moglie, mia figlia, mia mamma, le mie nonne, una delle due mie sorelle (l’altra no perché lei e mio cognato mi hanno truffato), le mie zie, le mie amiche, le amiche di mia moglie, le mie colleghe insegnanti, quelle dei lavori precedenti, le insegnanti che ho avuto, perfino le donne con cui ho condiviso storie, relazioni, flirt. Ecco, questa potrebbe essere la cosa che somiglia di più all’idea che ho di festa dell’uomo.