Ho sentito parlare di loro la prima volta a undici anni. Stavo battendo il record sul flipper nel bar di una trattoria dell’entroterra. Mi sentivo in forma e c’erano le due sorelle figlie del proprietario – a grandi linee mie coetanee – che facevano il tifo e non mi ero mai reso conto che avere una ragazza dipendesse da quanto uno riesce a mettersi in mostra o semplicemente a volerlo ma con determinatezza.
Non si trattava di una vera e propria sala giochi, piuttosto di un angolo del locale ricavato a fianco della stufa a legna. Ho superato il punteggio del campione locale riportato dall’indicatore meccanico – i flipper con display elettronici non erano ancora così diffusi – in tempo prima di provare disagio dall’eccessivo calore. All’epoca erano di moda i dolcevita indossati con camicie di flanella sopra, un abbigliamento impensabile oggi, considerati gli standard di temperatura nei locali pubblici, per non parlare di estetica e di moda. La trattoria ospitava la cena per festeggiare il gruppo di cacciatori della zona e il menu prevedeva piatti basati sulla carne dei numerosi capi abbattuti nelle più recenti e fortunate battute. Il sapore eccessivamente marcato del cibo e le conversazioni non alla mia portata dei commensali mi avevano indotto a cercare un diversivo adatto alla mia età e, con il senno di poi, posso confermare quanto mi abbiano portato fortuna.
Il contatto successivo è avvenuto però solo molti anni dopo. La mia fidanzata di allora abitava in una casa in campagna presidiata da cani fieramente consapevoli del loro ruolo di protezione del contesto. Sebbene legati nelle ore notturne, chissà cosa vedevano sbucare dai boschi circostanti e transitare al loro cospetto. Trascorrevo molto tempo da lei, entrambi vivevamo ancora in famiglia pur già adulti ma la sua villetta consentiva maggiore riservatezza a eventuali ospiti rispetto al mio appartamento in centro e a tutte le sue stanze in qualche modo collegate.
Si doveva percorrere un vialetto in terra battuta per raggiungere in auto il cortile antistante l’ingresso ma quando la famiglia era al completo e non c’era più parcheggio mi toccava lasciare la macchina nella strada sottostante. Camminare per quel centinaio di metri di notte e senza lampioni mi faceva riflettere sull’inadeguatezza delle consuetudini di città, dove si fa di tutto per abbattere qualunque disagio rendendo l’uomo estraneo alle sue radici. Si percepivano versi a cui nessun essere umano civilizzato avrebbe potuto essere uso e che l’immaginazione correva subito ad attribuire alle meno accomodanti specie viventi, loro in primis. Tuttavia ero consapevole del fatto che non si sarebbero mai palesati sul mio cammino. Il padre della mia fidanzata mi diceva poi che avevano un odore fortissimo di selvatico e che, nel caso, li avrei sentiti prima col naso che con gli occhi.
Poi una sera, mentre seguivamo in camera sua i terrificanti exit-poll delle politiche che avrebbero portato al successo per la prima volta i partiti di destra populista nel nostro paese (obiettivo centrato grazie alle emittenti televisive in loro possesso) i cani della mia fidanzata si erano messi a ululare e a fare versi così particolari che non saprei descrivere. Ci siamo precipitati fuori, sembravano in preda a entità soprannaturali. Fino a quando il padre, uscito in pigiama come nei film western americani nelle scene in cui nelle case della prateria si sentono rumori sospetti, ha puntato una torcia in un cespuglio mettendone in fuga un’intera famiglia. Due esemplari enormi con una nidiata di piccoli al seguito. I cani ci hanno messo molto tempo a calmarsi, d’altronde non credo di aver mai visto animali domestici trasformarsi in creature a guardia di un girone dantesco in così pochi istanti.
Negli anni successivi sono assurti sempre di più agli onori della cronaca. Gli esperti riconducevano il fenomeno principalmente alle campagne sempre più trasandate e al fatto che, grazie all’abbondanza di cibo a disposizione – a partire dalle castagne – si stavano moltiplicando come mai prima di allora. Altri fattori concorrevano alla loro diffusione, a partire dai deterrenti in materia di caccia. Parlavamo proprio di questo Elisa ed io nel corso di una sosta in uno spiazzo erboso a ridosso di un castagneto durante una gitarella sull’appennino, ormai una vita fa. Il tempo di realizzare che quell’anomala apertura potesse costituire uno spazio confortevole per bestie selvatiche di quella stazza e ci eravamo trovati numerose zecche risalire intrepide le nostre scarpe da trekking. La presenza degli insetti era la prova che lì dove ci apprestavamo a consumare un panino (e probabilmente qualcos’altro) fosse un luogo frequentato da qualche clan di quella specie animale. La sera, rientrati a casa mia, ci eravamo sottoposti a un accurato controllo reciproco – a suo modo coinvolgente – per verificare se fosse il caso di recarci al pronto soccorso. L’esito negativo non mi ha impedito però di notarne una abbarbicata al mio braccio sinistro il giorno dopo, mentre in treno raggiungevo il mio ufficio di Milano. All’accettazione del Fatebenefratelli sembrarono molto allarmati della mia scoperta ma si tranquillizzarono immediatamente dopo aver saputo che la zecca in questione non proveniva da uno dei parchi cittadini.
Comunque, per farla breve, al giorno d’oggi i social sono pieni di video che li mostrano trotterellare in fila indiana nelle vie dei sobborghi, inseguire i clienti dei supermercati di periferia alla ricerca di cibo o sostare ai bordi delle strade nell’attesa del momento più opportuno per attraversare senza farsi investire. Ho condiviso qualche tempo fa un tratto di cammino con una mamma e i suoi piccolini – dicono essere pericolosi ma, per mia fortuna, avevano altro a cui pensare – una domenica mentre mi avvicinavo a quella che poi ho scoperto essere la sede di un provider di energia elettrica, un posto pieno di uffici che negli altri giorni della settimana – almeno prima del Covid-19 – brulica di impiegati e addetti ai call center. Stavo correndo e così mi sono fermato per lasciargli una via di fuga libera. Loro non si sono tirati indietro. Non eravamo così distanti e, se devo dirla tutta, in quel frangente forse l’odore del mio corpo era molto peggio del loro.