C’era una volta una mamma single in carriera che lavorava in una multinazionale, una di quelle aziende in cui il sole non tramonta mai e se ti occupi di certe cose come il marketing capita che di giorno hai a che fare con colleghi europei, di sera si svegliano gli americani e a notte fonda ti tocca rispondere alle e-mail degli asiatici. Uno scenario in cui non è così raro mettersi la sveglia alle quattro del mattino per partecipare a una call con sconosciuti che parlano comunque un inglese più fluente del tuo dall’altra parte del mondo. Cose già viste e stra-viste e, vi dirò di più, provate sulla nostra pelle. Un andazzo, o trend come si dice ora, che con lo smart working si è ulteriormente esacerbato e se prima eravamo già schiavi del lavoro in rete oggi siamo tutt’uno con il cloud, così digitalizzati da essere digitali, effimeri, diafani, facili prede di hacker russi e di ransomware che ci chiederanno soldi per avere in cambio noi stessi. Fino a quando si sveglia il figlioletto della mamma single che è in piedi da un pezzo per mettere insieme uno stipendio decente e, al posto di una fetta di pane con la marmellata, per colazione se la cava con una merendina confezionata, una di quelle che i genitori bioblu non offrirebbero nemmeno al figlio del loro peggior nemico. La mamma fetta al latte ha ancora le cuffie ma si capisce lontano un miglio che la call sta per terminare. A breve inizierà la seconda parte della giornata che la vedrà, ancora sveglia, portare il bambino a scuola e rimettersi al lavoro con le call con i colleghi italiani. C’è ancora tutto un mondo davanti, e le ore sembrano infinite. Togliti le cuffie, mamma. Tuo figlio ha bisogno di te.
La cosa che mi sconvolge di molte di queste persone è che quando ci parli ti rispondono come se considerassero il loro un modo normale di lavorare.