Parlare di fronte a una moltitudine di persone comporta l’annoso problema di chi guardare mentre si parla. Non solo: quando l’uditorio è composto da gente con la mascherina chirurgica, e in tempi di Covid è la normalità, si distinguono solo occhi sgranati (e in alcuni casi attenti) di tutti i colori, mentre i particolari del campo visivo scoperto a disposizione si riducono vistosamente. A scuola funziona così. L’insegnante, quando è assorto nella sua esposizione, facilmente si scorda del numero di studenti davanti e si smarrisce nella sua confort zone di quei due o tre alunni che sa per certo che lo stanno ascoltando, anche se in realtà i due o tre alunni che l’insegnante sa per certo che lo stanno ascoltando ricambiano lo sguardo dell’insegnante perché non possono fare altrimenti. Anzi, probabilmente hanno già sviluppato una strategia che gli permette di scindere ciò che osservano da ciò che pensano, come se avessero un salvaschermo di cortesia con la migliore espressione attenta mentre, dentro, il sistema operativo è un modalità stand-by.
A me viene da puntare sempre verso gli stessi banchi, quelli in fondo, e credo si tratti di un’esigenza frutto di un calcolo matematico a cui contribuiscono la mia altezza e il fatto che, quando spiego, sto sempre in piedi. L’angolo di incidenza del mio sguardo, privo di controllo, raramente va a intercettare le prime file. Sono troppo vicine e dovrei inclinare la testa verso il basso in modo innaturale, mettendo a rischio la cervicale. Poi però mi rendo conto che guardo negli occhi sempre gli stessi bambini, quelli negli angoli in fondo a destra e a sinistra, così cerco di sforzarmi a variare la messa a fuoco. In quanto uomo e di mezza età, però, fare due cose contemporaneamente – concentrarmi su quello che dico e variare in modo uniforme l’obiettivo – non mi riesce, così alla fine torno sempre lì.
Il rischio è che qualcuno si senta perseguitato, ad avere costantemente i miei occhi addosso. Ci vorrebbe così una lista di comportamenti da osservare, da tenere sempre a disposizione, come quei mini portaritratti dei figli che si appiccicano sul cruscotto dell’auto con il monito “papà non correre”. Nella mia dovrei scrivere a caratteri cubitali di:
- passare in rassegna tutte le facce che ho davanti dedicando lo stesso tempo a ciascuno
- parlare lentamente
- non pulirmi le mani sporche di gesso colorato sui pantaloni
- controllare se Cecilia si è persa nel frattempo in quel buco nero che la inghiottisce se non le si presta attenzione
- fare attenzione che resti tempo sufficiente a dettare i compiti e il materiale per il giorno successivo sul diario
- non abbassare la mascherina.
Tutto il resto viene da sé.
Da quel che ho letto, il primo punto è particolarmente importante.
esatto, è fondamentale