Lucia ha il cognome più corto che abbia mai sentito, una sillaba con l’accento che, quando risponde a chi le chiede come si chiama, sembra uno scherzo, più che un’abbreviazione. Ho immaginato per lei il finale di un film in cui la protagonista riesce in qualche modo a inserire, nella prima pagina di un quotidiano a larghissima diffusione, un articolo scritto di suo pugno al posto di quello principale, pochi istanti prima che la matrice vada in stampa. La denuncia del mobbing che la donna di cui è innamorata subisce proprio nella redazione di quel giornale in cui svolge le mansioni di segretaria di produzione, con tanto di foto del colpevole e della vittima. Lucia sa che la sua passione è ricambiata ma è consapevole che una relazione tra loro è fuori discussione. Ama una donna sposata, una giovane madre di famiglia, una donna per la quale una trasformazione radicale della vita non è mai stata contemplata in nessun piano, a nessuna età. Lucia ha premuto enter o quel tasto che serve per salvare il file che verrà riprodotto in centinaia di migliaia di copie cartacee. E come quelle storie che si concludono senza dare risposte ai lettori, o agli spettatori al cinema, nessuno saprà mai cosa succederà dopo. Si vede Lucia lasciare di corsa la sede del quotidiano mentre fuori è buio e la città si arrende a essere inghiottita da una nuova notte. Lucia si allontana di spalle fino a nascondersi tra la folla, il rumore dei tacchi che si confonde con quello del traffico, la scena che sfuma a nero, la colonna sonora, i titoli di coda.