Gli hacker, per esempio. La webzine che pubblica gli scritti musicali miei e di alcuni altri invasati come il sottoscritto è stata presa d’assalto sfruttando uno degli attacchi più efficaci del momento. Sapete come funziona il ransomware, vero? Qualcuno entra in casa tua di nascosto, cambia la serratura e per darti le chiavi ti chiede un riscatto in criptovaluta per non lasciare traccia. Se non paghi cancellano tutto. Il nostro dominio è gestito da una piccola società di amici che dubito abbia le risorse per non cedere all’estorsione, quindi con molta probabilità il sito della webzine andrà in vacca e perderemo tutto. Lo so che cosa vi state chiedendo, ma non sembra esistere una copia del database, che volete che vi dica. Abbiamo però salvato in ordine sparso molto del materiale pubblicato e, comunque, con la cache di Google e tanta tanta pazienza si riuscirebbe a mettere insieme tre anni di lavoro, anzi, di passione. Poi però dovremmo affidarci a WordPress per rifare il sito da zero. Insomma, non è certo una passeggiata. Il punto è che il ransomware è redditizio se lo utilizzi contro un’organizzazione media. Se l’azienda è messa bene sicuramente ha un sistema di Disaster Recovery da un’altra parte e, in quattro e quattr’otto, rimette online tutto. Se attacchi dei morti di fame come lo studio dei miei amici non cavi un ragno da un buco lo stesso, nessuno pagherebbe mai una lira. Se la vittima sta nel mezzo, magari con un po’ di culo ci si può guadagnare qualcosa. Il punto è che non ha senso che a rimetterci sia un gruppo di appassionati di musica. I lettori no, tanto erano quattro gatti. E comunque, se non vi piaceva quello che scrivevamo, bastava parlarne davanti a una birra. Tutto qui.