Certi locali pubblici nei centri storici delle città sfruttano la struttura degli edifici al cui piano terra sono ubicati come parte integrante dell’esercizio commerciale, adattando cantine e ripostigli scavati sotto il livello dei vicoli a vani fruibili con tutti i crismi e secondo le norme di sicurezza di settore. A Genova ne potete trovare molti anche se, per chi li ristruttura, scendervi per la prima volta non dev’essere uno scherzo. Ne hanno presentato uno in una puntata di quel programma basato sulle battaglie tra ristoratori per aggiudicarsi il premio di miglior locale del posto. Tutto molto bello e pittoresco ma, a dir la verità, l’ambiente metteva un po’ di claustrofobia.
È piuttosto facile seguire una puntata di quella trasmissione: basta accendere la tele a qualsiasi ora del giorno e della notte su qualunque canale del digitale terrestre perché state certi che, da qualche parte, ne stanno mandando in onda una. È piuttosto facile anche imbattersi sempre nella stessa, se siete fortunati in quella a cui mi riferivo poc’anzi. Il programma tutto sommato funziona ma ha una pecca: i partecipanti sembrano fare a gara a chi risulta più antipatico e a chi architetta i tiri peggiori a scapito dei rivali per accaparrarsi un premio piuttosto misero, se paragonato al fatturato di un ristorante di quel tipo. Non è il mio genere di posto, ma se dovessi scegliere dove andare a mangiare fuori opterei per chi è stato al gioco comportandosi nel modo più onesto.
Mi spiace solo che alla puntata dedicata alla mia città non abbia partecipato un’amica che aveva compiuto un’opera colossale, recuperando una serie di cisterne collegate sottostanti alla sua piccola tavola fredda. Un ritrovamento rocambolesco, una vera e propria storia da film: dietro a una parete postuma aveva rinvenuto una botola di accesso a una rampa di gradini ripidissimi. Le profonde cisterne, al momento della scoperta, erano colme d’acqua perché alimentate da una fonte che ora è stata messa in bella vista sotto al pavimento trasparente. Ricordo di aver provato l’ebbrezza di guardare in basso dalla cima delle antichissime scale che ha rimesso a nuovo ma, voltandomi, ho avuto l’impressione di una visita alle catacombe.
Ho rivisto questo stesso ambiente in sogno stanotte. Dietro di me si ammassavano donne, bambini, uomini e animali in barba alle regole anti-assembramento. Da lassù stavo tenendo una lezione proprio sulla storia che sto scrivendo qui, ma una mamma mi incalzava pregandomi di far leva sul mio ruolo di insegnante per sollecitare quella scolaresca eterogenea a indossare la mascherina. Ho esaudito la sua richiesta, aggiungendo che presto vaccino e green pass sarebbero stati obbligatori per tutti. Per fortuna nessun bidello mi ha preso a pugni in faccia – questo succede solo nella realtà – ma il collega che mi chiama più di tutti gli altri per risolvere i suoi problemi con il pc (compresi anche i casi in cui non funziona il wireless in casa sua) mi ha mostrato sul suo smartphone datato un nuovo meme di “Feudalesimo e Libertà”, in cui si illustrava, in un italiano arcaico, che con le nuove disposizioni la nostra vita sarebbe stata un interminabile rumore di ponti levatoi che si alzano e si chiudono.
Sono riuscito comunque a domare la folla e a consentire un’uscita ordinata di tutti da quel pertugio e finalmente mi sono coricato al buio in una specie di chiesa, come se qualcuno avesse adattato una cattedrale a dormitorio comune. Al posto delle coperte e delle lenzuola c’erano però quei drappi e quei pesanti tendaggi che si usano per addobbare le immagini sacre nei templi dedicati al culto. Al tatto coglievo la differenza con la freschezza che provo sdraiato nel mio letto vero e la cosa mi metteva agitazione tanto da urlare per la paura fino a quando qualcuno, sdraiato nel sogno a fianco a me, mi diceva di non preoccuparmi, che anche lui è un essere umano come me e che domani c’è scienze.