A ridosso dei diciott’anni ho svuotato il libretto dei risparmi che mi avevano attivato i miei genitori da bambino per pagarmi la patente. Il libretto era un vero e proprio opuscolo protetto da una copertina in plastica di una texture e un colore riconducibili al cuoio. Nelle pagine interne venivano registrate, a penna e con il timbro della banca, tutte le operazioni di deposito e prelievo. Sino ad allora ero stato decisamente meticoloso sull’uso dei soldi che avevo da parte. Il costo della scuola guida era di poco inferiore a quello che ero riuscito ad accumulare, anche se – a onor del vero – da qualche tempo le mie esigenze erano aumentate e, da adolescente, non avevo mai più raggiunto i livelli di risparmiatore che avevo tenuto da piccolo.
Non ricordo perché avessi scelto di procedere in autonomia per il conseguimento della patente. Non credo che i miei genitori si sarebbero opposti. Probabilmente non volevo metterli con le spalle al muro per una uscita economica non pianificata e temevo che la mia urgenza di rendermi indipendente – per modo di dire, perché tra il superamento dell’esame e l’appartarmi con la mia ragazza da qualche parte c’era la necessità di disporre di un mezzo tutto mio, ostacolo non da poco ma a cui avrei pensato in un momento successivo – passasse in secondo piano dopo le priorità dell’intero nucleo famigliare.
E infatti l’intero processo si chiuse più di due anni dopo, quando mio padre mi fece trovare a tavola, in mezzo al tovagliolo, le chiavi di una Fiat Ritmo 60 bianca. Terminai il pranzo in fretta e furia per mettermi subito alla guida della mia prima auto. Ero a digiuno di pratica e, davvero, mi sfugge la spregiudicatezza con cui mi lanciai immediatamente nel traffico.
Ho ripensato a quella sensazione più volte, durante le scorse settimane di vacanza. Ho guidato per quasi 5mila km tra Italia ed Europa e non c’è stato istante in cui mi sia sentito mai completamente rilassato al volante. Si dice che da vecchi aumentano ansie e timori, il fatto è che ho viaggiato per ore e ore assalito costantemente da svariate paure irrazionali. Che mi si guastasse l’automobile all’estero, innanzitutto, e di dover ricorrere a carro attrezzi e officina in un paese straniero. Non ho più la Ritmo da trent’anni ma sono proprietario di un veicolo del 2007 che fa tutt’ora il suo dovere egregiamente, però non sempre ispira fiducia, tantomeno per un’impresa itinerante così impegnativa. Il mercato automobilistico è un continuo cambiare le carte in tavola sempre più frenetico per linee, tecnologia e approccio, e oggi una macchina di quattordici anni non trasmette affatto sicurezza. Scarrozzare la propria famiglia in giro, poi, ti fa sentire doppiamente preoccupato, perché oltre all’incolumità di chi guida c’è anche quella dei propri cari. E portare sulle strade un mezzo del cui controllo sei tu il responsabile è comunque un compito per nulla secondario.
Ma il timore che più mi vergogno di aver provato è quello di trovarmi senza carburante, di sbagliare i calcoli sulle distanze da percorrere e consumo di litri per chilometro. Guidavo sbirciando in continuazione l’indicatore del serbatoio tentando previsioni sullo spostamento della lancetta, che comunque sulla mia auto lo si può percepire in tempo reale. Ho invidiato, seduto all’interno dell’abitacolo ampiamente superato in quanto a optional per gli standard delle macchine di nuova generazione, i veicoli che mi sorpassavano e le loro prestazioni pensate per una mobilità moderna e sostenibile. Centinaia e centinaia di km con un pieno a fronte della mia necessità di soste continue per consentire al motore di raffreddarsi e, a me, di riposarmi dalla concentrazione imposta dal viaggio e tutte queste paure.
Naturalmente, come è facile immaginare, poi è filato tutto liscio. Si è accesa la spia dell’olio motore solo una volta, l’auto ha i suoi anni e lunghi percorsi a velocità elevate la costringono a funzionare a ritmi probabilmente fuori dalla sua portata. Il trucco è stare sotto i 110 e portare sempre con sé un paio di confezioni di olio da aggiungere. Quando ho parcheggiato sotto casa, a vacanza finita, ho sfilato la chiave pensando a come la vera ricchezza consista proprio nell’aver la possibilità di comprare risposte efficaci alle proprie paure – anche quelle infondate – e mi sono chiesto se, davvero, circondarsi del meglio sia la chiave per vivere in serenità.