Cenare in un ristorante italiano all’estero è un comportamento che non sta né in cielo né in terra per due motivi. Quello meno nobile è che noi italiani professiamo l’enogastronomia italiana in una versione così radicale da subire ogni riduzione facilitata delle nostre ricette tradizionali per i palati stranieri come un vero e proprio vilipendio a una religione. In realtà è da provinciali non approfittare di un soggiorno fuori dai nostri confini per non immergere appieno il nostro apparato digerente nelle usanze locali.
Il problema è che siamo talmente di bocca buona che, in certi posti agli antipodi del nostro gusto, arriviamo a un punto in cui ci arrendiamo perché più di sei o sette giorni senza una pizza non riusciamo a resistere. Il fatto è che in molte grandi città europee l’assenza di una identità culinaria vera e propria è colmata dalla grande disponibilità di sapori etnici di altre culture, un aspetto che da noi – che guardiamo ancora con sospetto chi non è nato in Italia e anzi, nemmeno a tutti quelli che sono nati in Italia concediamo lo status di italiani – è ancora agli albori ed è visto con sospetto. Quindi perché non approfittarne per assaggiare della vera cucina orientale, o della vera cucina africana?
Nei confronti della Francia ci sono da fare però altre considerazioni, dal momento che la loro cultura enogastronomica è forte tanto quanto la nostra, se non di più. A causa della competizione che tradizionalmente ci contrappone ai nostri cugini transalpini ci risulta però difficile parlarne in modo lucido. Allora comincio io: trovo che il vino francese sia superiore al nostro soprattutto nella qualità media. Mettete a confronto una bottiglia da meno di dieci euro di entrambi e poi ditemi se non è vero.
Per il resto, non credo che esistano ristoranti francesi in Italia, o almeno io non ne ho mai visti, mentre in Francia c’è pieno di ristoranti italiani. Questo genera più di un equivoco: se ci copiano è perché siamo un modello, giusto?
Ma se invece andate a fondo e trovate il coraggio di sedervi a un tavolino di un ristorante italiano in Francia quasi sicuramente non resisterete all’impulso di guardare con sospetto quello che vi verrà proposto, nel menu e nel piatto. Questo perché vi renderete conto presto che tutto ciò che prenderete sarà in realtà una rielaborazione secondo il gusto locale dei nostri piatti. Chi denota una forte personalità difficilmente riesce a impersonarne altre mettendo a tacere la propria.
L’esempio più eclatante è l’uso sacrilego della pasta come condimento per altri piatti, che per noi è grave quanto denigrare a male parole la propria madre. A me non piace l’accostamento, ma tutto sommato apprezzo l’uso creativo di un pilastro della nostra cucina. Alcuni invece lo vedono come un tentativo dei francesi per esercitare la propria superiorità annullando l’identità altrui, come un Napoleone qualsiasi che espropria la Cappella Sistina per farne un granaio.
A me è successo di vedere una carbonara in Francia servita come un piatto dell’Ikea tutto da assemblare a cura del cliente: hanno portato delle tagliatelle scotte immerse in una crema di un loro formaggio (non pecorino), con un uovo compreso di albume crudo e posizionato nel centro della pasta impiattata a nido, una spolverata di erba provenzale e dei dadini di prosciutto cotto in una scodella a parte, da aggiungere a piacimento. Questa è la prova che la volontà dei francesi è proprio quella di decostruire le nostre ricette come monito per ricordarci la loro grandeur. Non ci resta che adattarci.