I morti non ci dicono nulla. Non ci parlano proprio. Ci insegnano moltissimo, almeno quello. Le vittime delle epidemie ci ricordano che i vaccini sono la soluzione. Le guerre che è meglio parlarne prima o, per lo meno, non comportarsi da prepotenti. Per il resto proprio non c’è storia. Anzi, di storia ne abbiamo a tonnellate, anzi ancora, a millenni. Entri in una tomba vuota di una necropoli etrusca e ti aspetti che qualcuno o qualcosa azzardi un contatto. Invece al massimo trovi un nido di rondine, una ragnatela, i cavi elettrici – che poi possibile che non ci sia un modo per occultarli – e stop. Girelli per i borghi medievali la notte al buio e immagini che ogni ombra anomala si muova verso di te ma poi è un gatto o un turista russo. In genere non c’è anima viva ma è molto meglio di un’anima morta, perché se apparisse qualcosa di soprannaturale, pensate a un’urna sul comodino come accadeva negli sceneggiati di una volta, io rischierei un infarto, andando ad aumentare le fila di quelli che vorremmo incontrare almeno in sogno, per avere in cambio qualche numero da giocare al lotto. Qualche notte fa ho sognato mio suocero. Lo abbracciavo stretto ma sentivo che ci stava abbandonando per tornare alla dimensione a cui appartiene ora e io non volevo andasse via di nuovo e lo chiamavo forte. “Franco!”, gridavo. “Franco!”, tanto che l’ultimo l’ho urlato per davvero e mia moglie si è spaventata e mi ha svegliato, temendo che mi sentissi male. Poi ci siamo calmati e ho cercato di riaddormentarmi ma non ci sono riuscito subito. Ho provato un po’ di senso di colpa. Mio papà non l’ho mai sognato così.