un mestiere da fighi

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Non pensavo che l’insegnante di scuola primaria fosse un mestiere da fighi. Me ne rendo conto invece ogni volta in cui rivelo ciò di cui mi occupo quando si parla del più e del meno con le persone appena conosciute e, in cambio, ricevo attestazioni di stima, questo senza che nessuno sia in grado di dimostrare se sia un bravo o pessimo docente.

Quando qualcuno mi chiede che lavoro faccio, dapprima rispondo solo un generico “insegnante”. Poi c’è chi insiste e vuole sapere di quale ordine scolastico e la materia, e a quel punto metto le carte in tavola. Mi tocca chiarire che, alla primaria, siamo tenuti a insegnare tutte le discipline e che, nell’attuale ciclo, seguo la parte logico-matematica, artistica e di lingua inglese. Una manfrina che, per brevità, i più traducono con la locuzione “maestro elementare”. Parole che, nell’immaginario collettivo, inducono a una visualizzazione di questo tipo:

Ed è a questo punto che si innescano le espressioni di incredulità e le reazioni di sorpresa. Intanto perché sono un uomo e l’uomo che per lavoro si prende cura metodicamente di una ventina di mocciosi a mille e quattrocento euro al mese suscita curiosità e restituisce quella sorta di folklore che trasmettono certi personaggi caratteristici e bizzarri che vediamo alla tv o in giro nei nostri paeselli.

Ma questa è solo l’interpretazione più cinica. Alla notizia che insegno alla scuola primaria, nelle mamme si attiva il processo dell’analisi comparata con l’esperienza scolastica dei loro figli, mentre i padri – specie quelli che fanno lavori pagati meglio, cioè praticamente tutti a parte gli insegnanti come me – a stento riescono a dissimulare il loro scetticismo. Si precipitano a pisciare immediatamente per delimitare il loro territorio e non rischiare crepe alla stima professionale di cui un ingegnere gode in famiglia. Corrono a banalizzare il nocciolo della questione con l’aneddotica personale sugli insegnanti maschi incontrati nella loro vita o delle persone che conoscono perché, in fondo, dentro di loro si attiva un segnale di allarme di cui questo spot costituisce una sintesi efficace:

che attesta che il mestiere di insegnante di scuola primaria è un lavoro da fighi.

Succede che anche il maschio ingegnere più alfa si abbassi ad ammettere di essere privo della pazienza necessaria a tenere a bada una classe di bambini per diverse ore al giorno, d’altronde non è mica un requisito maschile. L’importante è non equivocare una reazione di questo tipo come un atto di subordinazione a chi esercita un mestiere di natura femminile. Tale dichiarazione va letta come “ce l’ho così lungo che la società non si aspetta da me che sottragga tempo alla mia forza riproduttiva e alla mia abilità nel sostentamento e nella difesa della comunità di appartenenza in attività che non richiedano competenze organizzabili tramite diagrammi di flusso”.

In questo frangente occorre agire con un po’ di intelligenza e di psicologia. Non dimentichiamoci che, anche se ingegneri, sono sempre uomini e, quindi, piuttosto elementari. L’insegnante di scuola primaria dovrà quindi mostrarsi innocuo e disponibile a non mettere a repentaglio le dinamiche di gruppo nelle battute di caccia e nell’organizzazione della difesa delle mura. Automaticamente, la conversazione si assesterà sugli attestati di stima.

Che, a dirla tutta, a volte sono sin troppo espliciti e suscitano imbarazzo. Non è che uno che dedica la sua vita alla scuola è, per forza di cose, un eroe invisibile della contemporaneità. Piuttosto, ormai l’opinione più comune è che è grazie a noi che ci prendiamo cura dei figli più piccoli, tenendoli lontani dalle famiglie per buona parte del giorno, che l’economia va avanti, perché consentiamo ai genitori di recarsi al lavoro – un lavoro vero – senza orpelli da accudire. Certo, è così che la società restituisce una visione in cui noi insegnanti passiamo poco più che per bambinai (con tutto il rispetto per i bambinai), ma d’altronde cosa possiamo pretendere, che già godiamo di cinque mesi di vacanze l’anno.

Per questo, quando chiacchiero del più e del meno con persone appena conosciute, evito di parlare del mio lavoro. Anzi, evito di parlare proprio. Poi però c’è sempre qualcuno che tira in ballo la sfera professionale – siamo ciò che produciamo – e a quel punto, svelato il mio mestiere, mi tocca fare la persona seria, empatica, brillante, credibile, affidabile, dispensatrice di sorrisi e affabilità, e da quel momento so già che sarò costretto a omettere le mie passioni, le mie perversioni, le cazzate che mi capita di combinare ogni giorno il mio lato oscuro, il tutto a favore della componente di autorevolezza, quella che mi sforzo di tenere sempre accesa nei pochi mesi in cui non sono in ferie, come sostiene la maggioranza della gente. Se faccio l’insegnante e sono un uomo ho, per forza di cose, un’indole paziente. Che poi è vero, ma che pazienza.

E solo allora capisco, dalle espressioni altrui, di esserci riuscito. Ce l’ho fatta: ho convinto chi ha preteso spiegazioni del fatto che sono una brava persona, un buon insegnante di scuola primaria. In più, un uomo equilibrato di cui i genitori dei miei alunni possono fidarsi lasciandomi, ogni mattina, i loro marmocchi per poter far girare l’economia mentre io chiedo di ricopiare le cornicette disegnate alla lavagna.

Poi però c’è sempre qualcuno un po’ più sagace degli altri, e che spesso è una donna, che mette insieme ciò che già sapeva di me, magari anche gli aspetti più sconvenienti della mia personalità, con tutto ciò che ha appena ascoltato e capisce che, tutto sommato, sono così anche grazie a quella parte di me che meno può essere ricondotta a un mestiere per svolgere il quale sto in una classe con venti bambini di otto anni per sei ore al giorno. Qualcuno che trae delle conclusioni e che pensa che, davvero, per fare l’ingegnere occorre essere una sorta di semi-divinità ma, specie se sei un maschio, l’insegnante di scuola primaria è un vero mestiere da fighi.

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