ma poi quando piove

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L’incubo pandemico che ci tiene svegli la notte – indipendentemente dagli orari delle gare olimpiche – non è certo l’unica causa del nuovo logorio della vita moderna. Pensate alla paura dovuta al cambiamento climatico che non costituisce un vero e proprio stress costante ma è più quella stretta allo stomaco che ci prende quando vediamo i video delle trombe d’aria sulle Dolomiti o degli incendi in Sardegna. Che futuro possiamo avere, sempre che un giorno quelli che fanno le manifestazioni contro il vaccino ci permetteranno di tornare a goderci le vacanze e a riaprire le nostre attività commerciali? Si chiama climate anxiety e c’è un sacco di letteratura in giro che dovrebbero leggere tutti quelli che sostengono che non è cambiato un fico secco. Una vera e propria piaga biblica, considerando che si tratta di una paura che fiacca i più giovani, che poi sono i principali stakeholder del futuro, quelli che dovrebbero rimettere in sesto il pianeta e che – non avendolo vissuto – non trovano invece consolazione alcuna nel passato in bianco e nero di Techetechetè. Si sentono tuoni in piena notte che ci fanno saltare sul materasso e, ormai perso il sonno, ci mettiamo a osservare la grandine che distrugge le nostre auto parcheggiate sotto casa. Per non parlare dei temporali quotidiani sempre alla stessa ora, con il cielo diviso a metà tra nuvole scure e il resto sereno, che basta attraversare la strada per passare dall’estate all’inverno. Unica consolazione sono gli arcobaleni con cui intasare di foto le pagine dei social. Dite quello che volete ma si tratta di fenomeni a cui io, fino a cinque o sei anni fa, non avevo mai assistito.

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