Il mio compagno di banco si chiamava Roberto come me e come milioni di altri Roberti nati negli anni sessanta. Ci ha messo cinque anni a finire le medie e io me lo sono ritrovato in classe in terza. Gli ho dato una mano a preparare l’esame perché era simpatico ma anche perché la sua famiglia gestisce tutt’ora la pizzeria migliore della città. Studiavamo da lui e a merenda ci servivano spesso una margherita preparata alla napoletana, accompagnata da un bicchiere di Pepsi con ghiaccio e limone. Quando ho saputo che la figlia di uno dei masterchef frequenta lo stesso liceo della mia ho pensato così al menu delle festicciole che darà per i suoi compagni di classe, sempre che una celebrità di quel livello dia delle festicciole, si presti a far da mangiare per gli invitati e che la figlia abbia degli amici. Spero si noti la fortissima invidia per chi può dire di avere un genitore di quel rango. Per questo stesso motivo non credo che, quando si presenterà l’occasione, sceglierò di tenere il quadro che sovrasta il letto in cui dorme mia mamma, un dipinto che si sono regalati lei e mio papà molti anni fa e che ha accompagnato buona parte della loro vita matrimoniale. Perderò la possibilità di mettere le mani su un’opera di grande valore affettivo e di poche decine di Euro ma proprio non mi piace, a differenza del quadro che mi ha regalato la zia di mio padre, mia madrina nel paio di sacramenti di cui sono stato beneficiato. Pochi mesi prima che morisse, memore di quanto ne fossi attratto, zia Giulia ha dato disposizioni affinché la sua badante si occupasse di incorniciarlo a modo e me ne facesse dono. Anche in questo caso non si tratta certo di un pezzo da museo, però ha uno stile piuttosto originale che, inserito nell’arredamento del mio soggiorno, fa la sua figura.
Il quadro dei miei invece è stato realizzato da un artista noto nella comunità da cui proveniamo entrambi. Frequentavo i suoi figli, il più grande giocava a basket con me e con la sorellina addirittura – anni dopo – ci siamo baciati ma poi è finita lì. Ultimamente vedo spesso celebrato il padre pittore nelle pagine di cultura locale sui social network di massa, probabilmente ricorre l’anniversario della sua prematura scomparsa. Ho osservato con attenzione vecchie foto loro pubblicate – i figli sono rimasti orfani poco più che adolescenti – e ho notato la luce negli occhi di tutti i componenti di quel nucleo famigliare. Padre, madre, figlio e figlia, splendenti di quella bellezza che tocca pochi fortunati passeggeri di questo mondo. Gente destinata a compiere gesta esclusive e a una vita al riparo dall’ordinarietà, aspetti che si comprendono dal modo in cui rimanevano ritratti nelle fotografie e dalla scelta dello sfondo in cui sceglievano di scattarle.
Non mi piace guardare le vecchie foto di famiglia ma di recente, in occasione di una visita a mia mamma, mia figlia me lo ha chiesto e non mi è stato possibile sottrarmi. Qui a casa mia non ne ho nemmeno una, se non qualcuna scattata con le band in cui ho suonato e un intero servizio di quando giravo conciato come Robert Smith. Le vecchie foto di me bambino e della mia famiglia che ha conservato mia mamma – foto in località di villeggiatura, ricorrenze con parenti e altre occasioni altrettanto semplici – colpiscono per lo sfondo dimesso. Neve sporca, automobili parcheggiate, sconosciuti di spalle o di passaggio, ciminiere in lontananza, edilizia popolare, recinzioni instabili, tinte male abbinate, pannelli pubblicitari. Prima delle fotocamere digitali e degli smartphone le foto si facevano così. Si metteva l’occhio nel mirino, si serrava l’altro, si chiedeva di stare immobili e di sorridere, si scattava, si portava il rullino a sviluppare e ci si beava del risultato. Mi sono chiesto chi fosse l’incaricato alla documentazione delle occasioni importanti e dei momenti particolari e perché, chi ci scattava le foto, non si preoccupasse dell’inquadratura o almeno non ci chiedesse di spostarci in un punto diverso, di fare attenzione a tenere gli occhi ben aperti, di trasmettere ai posteri un messaggio più comprensibile, un futuro più facile da indovinare.