Torna la primavera e torna Valerie June con la sua voce unica. Ed è una fortuna: ancora barricati in casa, un manuale per sognatori è proprio quello che ci vuole.
Il timbro di Valerie June è uno strumento musicale a sé che merita un nome tutto suo. Una virtù che ha le sue radici nei generi musicali a cui sono stati ricondotti i suoi due precedenti album, “Pushin’ Against A Stone” e “The Order Of Time”. Blues, soul, bluegrass e folk, tutti insieme e nelle stesse tracce. Apparentemente un paradosso, nei fatti invece un perfetto asse di simmetria tra la tradizione country e quella afroamericana. Un ponte tra Memphis e i monti Appalachi in una voce tutta testa e cuore ma pronta a ruggire nella gola, nell’anima e nella pancia come in un coro gospel.
Nel corso della carriera di Valerie June c’è stato persino un salto dalle roots degli esordi verso l’alto, fino alla luna e alle stelle del titolo di questo ultimo lavoro, e lo si evince persino dalle copertine dei dischi. Dai colori caldi e dagli elementi della terra dei precedenti album a quelli rarefatti e patinati del nuovo disco, con le luci di scena color argento che impongono vestiti da sera per occasioni uniche e irripetibili.
Chi segue Valerie June sui social avrà potuto accertare di persona la sensibilità e la spiritualità d’altri tempi di questa straordinaria artista e la genesi di “The Moon and Stars: Prescriptions for Dreamers”, il suo ultimo lavoro che ha preso forma e consistenza nell’anno della pandemia. Non è raro vederla accendere candele per inviare raggi di gratitudine in tutto il pianeta, seguirla meditare durante la luna piena per concentrarsi sulle “dolci piccole cose della vita”, esortare chi la segue a brillare come la polvere delle stelle per rendere più luminoso il percorso di chi ci sta accanto.
Forse la sua positiva ricerca della natura, dell’anima e della vita stessa in tutte le cose ha avuto una parte decisiva in questo disco di così ampio respiro. Una filosofia che trova il suo manifesto nei versi della canzone “Home Inside”, brano che non a caso chiude l’album: la casa che è dentro di noi, un posto che ha una finestra sull’anima, “uno spazio creativo che nessuno ha il diritto o il potere di sottrarci” – lo ha dichiarato lei stessa in un’intervista a NPR – con un giardino sul lato soleggiato per poter crescere, e quella formula a cui non riusciamo a dare un nome – alcuni la chiamano preghiera, altri come me la chiamano la voce di Valerie June – che ci permette di trovare la pace con noi stessi.
Ed ecco perché “The Moon and Stars: Prescriptions for Dreamers” è un vero e proprio manuale per sognatori. Intanto è un album che guarda più lontano, rispetto ai precedenti, anche sotto il profilo meramente musicale. “Stay” sembra avere il mood con cui Valerie June ci ha viziato, quello che ci ha fatto innamorare di lei attraverso canzoni come “Wanna Be on Your Mind” o il precedente singolo “Astral Plane”, almeno fino a quando la traccia di apertura del nuovo disco si spalanca in un campo lunghissimo con un sottofondo di archi che ci fa prendere il volo. Un approccio ripreso in “Why The Bright Stars Glow”, canzone che vede le stelle del concept ancora protagoniste.
Nel disco c’è spazio per il blues, con brani come “You and I” e “Call Me a Fool”, traccia che vede il contributo e il proverbio africano introduttivo – “only a fool tests the depth of the water with both feet” – di Carla Thomas. E per restare ben saldi sulle proprie radici ecco “Stardust Scattering”, canzone che contiene timbri e strumenti che rimandano alle sonorità di Fela Kuti. Si ritorna alla tradizione folk a stelle e strisce con “Two Roads” e “Colors”, già pubblicata nell’album “The Way of the Weeping Willow” e qui riproposta in versione adulta. “Fallin’” è sicuramente la traccia più intima del brano, una canzone sull’amore che nasce e su quello che tramonta. Non passa inosservata neppure “Smile” che, nonostante l’incipit di drum machine, ha uno sviluppo sixties in perfetto stile Motown e suona agli antipodi della canzone successiva, una modernissima “Within you” in cui Valerie June sfoggia addirittura qualche ammiccamento ritmico proprio della trap, utile a guidare l’ascoltatore lungo le diverse epoche della black music che Valerie June riassume nel suo canto.
Fino al commiato del disco, un minuto e mezzo di “Starlight Ethereal Silence” in cui i suoni e il sottofondo della natura ci riportano per mano nel punto da cui siamo partiti, prima di questo lungo viaggio nel cosmo, lasciandoci con un interrogativo: la meraviglia è fuori o dentro di noi? “The Moon and Stars: Prescriptions for Dreamers” ci aiuta a scoprire che le due dimensioni coincidono e che esiste qualcuno che riesce a tradurre tutto questo in musica.