Lo Psyco Club a Genova, in Vico Carmagnola 7, è stato un locale decisamente all’avanguardia per tutto il corso degli anni 80 e, se non eravate ancora nati, peggio per voi. Se siete della zona e nei ruggenti eighties vi vestivate di nero, vi conciavate come Robert Smith e ascoltavate quella musica lì, almeno una volta vi sarà capitato di trascorrere una serata – se non un sabato pomeriggio – a ballare, vedere concerti e mostre, partecipare a incontri e iniziative, ascoltare buona musica. E se volete saperne di più, qui trovate un bel po’ di informazioni.
Il fatto è che il fondatore dello Psyco è su Facebook e ha da poco raccolto, in una delle solite pagine commemorative, un nutrito gruppo di nostalgici ex-frequentatori e il gruppo sta raccogliendo foto, volantini, testimonianze, aneddoti e contributi di vario genere da parte degli iscritti. Ho aderito immediatamente all’iniziativa, ovvio, e da quel momento la mia giornata si è arricchita di un nuovo modo per perder tempo sui social. Contemplo il feed nutrirsi in tempo reale con l’intento di dare consistenza, grazie alle voci di altre persone, agli echi del vissuto che mi è rimasto di allora sotto forma di reminiscenze. Una vera e propria droga proustiana, quella della ricerca del tempo perduto.
Sto lì a leggere e a sbirciare nelle foto aspettando che si materializzi qualche istante in cui poter commentare ehi, c’ero anch’io, ricordo benissimo, quello lì di spalle forse sono io. Non vi è mai successo di ritrovarvi per caso sullo sfondo di foto altrui? Io dello Psyco Club non ho nessuna reliquia materiale ma potrei contribuire lo stesso con qualche spunto scritto. La verità è che mi piacerebbe postare qualcosa ma non mi sento ancora pronto, non chiedetemi il perché. Scrivo e riscrivo un aneddoto da pubblicare ma poi lo lascio sotto forma di bozza. Così ho pensato di riportarlo prima qui, per vedere che effetto fa vederlo nero su bianco.
Una volta abbiamo portato la demo di una band in cui suonavo, sarà stato l’85 o l’86, so solo che faceva freddo perché poco prima avevo accompagnato uno del gruppo in un negozio di abiti usati del centro storico a comprare un cappotto nero. Non ricordo con chi abbiamo parlato, non era il proprietario, so solo che la conversazione è stata surreale. Non saprei dirvi se eravamo più fuori noi, con la nostra cassetta e il nostro approccio industrial-elettronico alla Cabaret Voltaire (già ampiamente fuori moda), o il tizio dietro alla postazione che metteva i dischi a cui ci siamo rivolti. La demo riportava fedelmente i recapiti ma, malgrado ciò, nessuno ci ha mai ricontattato per suonare allo Psyco. A riascoltare oggi quei pezzi, onestamente, non ho nulla da recriminare. Non mi sarei mai richiamato nemmeno io.