Questa mattina, nel corso delle trasmissione “Prima Pagina” di RadioTre – a questo giro condotta da Gad Lerner – un ascoltatore in collegamento telefonico metteva in dubbio l’efficacia della proposta di Enrico Letta sull’estensione dell’età utile al voto ai cittadini di sedici anni. Si sottolineava infatti la scarsa dimestichezza dei più giovani con la politica, per non dire interesse nullo, e in modo provocatorio si proponeva addirittura l’esatto contrario, consentire cioè il voto solo da un’età a partire da almeno vent’anni in poi. In risposta Gad Lerner, altrettanto provocatoriamente, ha ulteriormente alzato l’asticella. Perché non circoscrivere l’elettorato secondo il censo, o la professione esercitata? Ha ricordato così che le donne in Italia possono esprimere la loro preferenza solo dal primissimo dopoguerra e che, addirittura, recentemente c’è stato chi ha proposto di far votare anche i bambini. L’età media italiana si è attestata sui 45 anni, e in una società vecchio stile una ventata di giovinezza, in ambito elettorale, potrebbe portare un po’ di novità. In effetti non è facile dare una risposta alla questione. Ma se mettiamo in collegamento la necessità di accendere l’entusiasmo per la politica nei nostri ragazzi con la crescente richiesta di spazio per l’educazione civica nei programmi ministeriali delle scuole superiori, il cerchio un po’ si chiude. Insegnare la politica a scuola non sarebbe certo orientare gli studenti, piuttosto gettare le basi per alimentare una coscienza di cittadinanza attiva e accendere la passione per la cosa pubblica. Una formazione propedeutica all’esercizio del dovere di voto, più che al diritto, può contribuire alla crescita di generazioni pronte a diventare adulte nella consapevolezza che la democrazia, davvero, si eserciti dal basso attraverso la manifestazione della propria volontà nell’urna. E poi, volete mettere assistere a lezioni su temi di così grande attualità? Certo, per insegnare politica ci vorrebbero nuove classi di concorso e gente entusiasta e preparata in materia. E, sul lato pratico, qualche ora in più in classe e qualche cambio di programma, in tutti i sensi. Ma di fronte a un’offerta di questo tipo darei volentieri indietro certe discipline che, oggettivamente, costituiscono il retaggio di una cultura e di un’economia che non esistono più.