Non sono pochi i siti dei foodblogger e quelli più istituzionali, come Giallo Zafferano, che consigliano di conservare il pesto – ma anche altre salse – in forma di monoporzioni negli stampi che tradizionalmente impieghiamo per i cubetti di ghiaccio. L’ex compagno di Anna ne possiede uno verde acido di marca Alessi che permette di creare vere e proprie capsule ovoidali che, una volta estratte, fanno una certa scena. Ma solo con i liquidi e nei long drink. Il pesto, lo saprete meglio di me, non gela perfettamente e gli ovetti estratti dal freezer hanno una consistenza particolare per cui non risultano lisci. Non per questo la tecnica è poco efficace.
Dario ha ricevuto lo stampo pensato per il ghiaccio – ma poi hackerabile a piacimento – in dono da Anna in occasione dell’ultimo compleanno che hanno trascorso insieme, prima di separarsi di lì a poco. Il regalo comprendeva anche un tostapane e una specie di piccolo tritatutto/miscelatore da cucina che Dario paradossalmente utilizza tutt’ora al posto del tradizionale mortaio ligure che la disciplina più rigorosa imporrebbe per pestare il basilico e i pinoli fino a mescolare il tutto con olio e pecorino. Ho omesso l’aglio volontariamente, considerando che a non tutti piace. Nella scorta che Dario ha surgelato per l’inverno l’aglio però è un ingrediente abbondante. Ieri sera ha cucinato una pasta e poi, con i tre ovetti di pesto ormai scongelati rimasti, si è preparato altrettante tartine utilizzando una base di fette wasa, quella specie di cartone che, mangiato al posto della focaccia, ti fa già sentire più magro solo appena lo compri.
Una cena tematica non a caso: Dario voleva rivedere Anna per capire se entrambi fossero ancora mossi l’una per l’altro, a distanza di così tanto tempo e di così tanto spazio, rispetto alla loro giovinezza e alla Liguria. Una specie di prova del nove per verificare se la scelta di prendere strade diverse vent’anni prima fosse stata quella più lungimirante.
Il fatto è che dopo sono finiti a letto, e la scelta di un condimento così ingombrante dal punto di vista sinestesico ha fatto purtroppo la differenza. Nella notte Dario ha persino sognato la nonna paterna, morta qualche mese dopo la vittoria della nostra nazionale di calcio ai mondiali dell’82. Si presentava all’improvviso con i capelli color argento ben pettinati e con il cappotto nero con il collo di pelliccia nella stanza in cui giaceva con Anna. Dario si precipitava a vestirsi ma, per sbaglio, cercava di infilarsi le collant di lana nera di Anna. Si sentiva a disagio per aver ceduto alla curiosità di rivedersi con l’ex compagna e se ne vergognava. In certe scelte non si torna mai indietro, su questo sarete pienamente d’accordo.
I due, poi, uscivano per recarsi a un concerto ma Dario era costretto dall’età avanzata su una carrozzina. Anna lo spingeva da dietro. Lo spettacolo si sarebbe tenuto sull’antica fortezza, in un punto inaccessibile per i disabili soprattutto per l’acciottolato della via d’accesso. A ridosso della biglietteria in cui avrebbero chiesto il pass per l’area riservata alle sedie a rotelle c’era un manifesto dei Blur e due sorelle gemelle che si facevano un selfie. Dopo, Anna incontrava alcuni suoi vecchi amici scout – con l’uniforme nera al posto della tradizionale blu e verde – allo stand della birra che la salutavano con una di quelle coreografie che utilizzano i giovani nei film americani ma che poi, nella realtà, si emulano solo per mero citazionismo.
Dario si preoccupava così per il fatto che, battendosi reciprocamente il palmo delle mani, aumentavano il rischio di contagio del Coronavirus ma, una volta sveglio, aveva realizzato che nessuno dei protagonisti indossava la mascherina. Fuori era ancora inverno, i parabrezza delle auto ricoperti di ghiaccio e il basilico sul balcone non sarebbe comunque sopravvissuto.