Avete presente quella sensazione di angoscia che ci prende la domenica sera per tornare al lavoro il lunedì mattina? Io l’ho vissuta per vent’anni perché, fondamentalmente, facevo un lavoro che mi appassionava poco. Ora che sono un insegnante di scuola primaria le cose sono cambiate. Non tanto perché quello del maestro sia un mestiere appagante (e lo è, ve lo assicuro) ma perché quando la domenica sera mi prende l’angoscia di smontare la dimensione domestica del weekend per riallestire la mia credibilità professionale e il mio ruolo nel sistema economico-produttivo mondiale per il giorno dopo, penso che alle otto e trenta sarò circondato da diciannove bambini di sette/otto anni. Niente colleghe che si scaccolano nella scrivania accanto, nessun datore di lavoro isterico, nessun client di posta elettronica che ci mette un quarto d’ora a caricarsi e renderti operativo, nessun cliente che chiama al telefono per qualche attività da consegnare entro sera, niente preventivi o fatture che nessuno vuole pagare. Lo abbiamo detto più volte: lavorare con gli adulti è una merda, lavorare con i bambini è altrettanto faticoso ma si tratta di bambini e, per certi aspetti, anche se fare l’insegnante è un compito molto serio, sembra sempre di giocare e di vivere in un ambiente puro. I bambini, anche quelli più cagacazzo, sono veri e propri strumenti antistress. Sono loro, i bambini, i veri salvatori dell’universo, gli unici in grado di sollevarci dall’angoscia di stare al mondo in una pandemia globale. Con le loro voci, al lunedì mattina, appena entrano in classe.